La Russia soffia sul petrolio e spaventa l'inflazione Usa

Biden al lavoro per contenere i prezzi dell'energia, ma il Cremlino ipotizza una super domanda di greggio

La Russia soffia sul petrolio e spaventa l'inflazione Usa

Il Cremlino gongola, la Casa Bianca soffre. Poli opposti della partita energetica che ha per arbitro il petrolio, la variabile capace forse più di tutte di incidere sulla traiettoria dell'inflazione, il babau da post-pandemia. Da Mosca non sono arrivate ieri buone notizie per l'America. Rosneft, il gigante petrolifero controllato dal governo russo, ha fatto il pieno di utili nel terzo trimestre: 314 miliardi di rubli (3,8 miliardi di euro) con cui vengono sbianchettate le perdite di 64 miliardi dell'anno prima. Resurrezione dopo i sepolcri da Covid. Non temporanea. Il ceo Igor Setchine parla di possibile superciclo per i mercati di greggio e gas. Tradotto: altro spazio per far lievitare i prezzi, stabilmente sopra gli 80 dollari per l'oro nero e attorno ai 5 dollari per milione di unità termiche britanniche per il metano. La domanda globale ascendente dà una mano, l'altra ce la mette l'Opec+, di cui la Russia fa parte, che sta ricalibrando l'offerta col contagocce: all'appello mancano ancora 217mila barili al giorno, dei 400mila in più promessi.

Ma le parole del capo di Rosneft sembrano soprattutto picconare la narrazione, molto in voga presso la Fed e la Bce, secondo cui le tensioni sui prezzi sono temporanee. I colli di bottiglia nella catena degli approvvigionamenti permangono, il costo dei container resta salato, le aziende faticano sempre più a non far tracimare sui consumatori la febbre dei prezzi alla produzione, mentre il versante energetico è quello più surriscaldato. Il balzo dell'inflazione Usa in ottobre al 6,2%, il maggior aumento dal giugno 1982 (sfiorerebbe il 15% se si usasse ancora il metodo di rilevazione di quegli anni), è stato per Joe Biden più d'un campanello d'allarme. Tutto, da un gallone di benzina a una pagnotta di pane, costa di più. Ed è preoccupante, anche se gli stipendi stanno aumentando, ha ammesso l'altro giorno il presidente Usa, in visita a Baltimora. Dopo i tentativi falliti di convincere i sauditi e la Russia a pompare più petrolio, il successore di Trump vuole prendere il toro per le corna. Bloomberg ha rivelato che il governo sta discutendo se intervenire immediatamente per abbassare almeno i prezzi dell'energia. Le opzioni sul tavolo sarebbero due: liberare la riserva strategica di petrolio Usa (600 milioni di barili), o addirittura stoppare le esportazioni di greggio (tre milioni di barili al giorno, più del Kuwait).

Pare che diversi funzionari del Dipartimento Energia si siano opposti. Anche perché le due soluzioni mal si conciliano col volto green esibito da Biden alla conferenza sul clima dell'Onu a Glasgow. Un rebus di difficile soluzione. A detta di molti analisti il problema di Biden è però un altro.

La convinzione di poter far arrivare più rapidamente le merci, e quindi eliminare le strozzature fra domanda e offerta, potenziando la rete infrastrutturale (strade, ponti, porti, ecc.) grazie al nuovo piano da 1.500 miliardi. In realtà, gli ulteriori stimoli avrebbero effetti inflattivi, tali da indurre la Fed a usare le maniere forti sui tassi.

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