La resa dei conti nella finanza italiana non è domani, ma si sta avvicinando e tutti i grandi protagonisti del puzzle si stanno posizionando. L'ultima tessera in ordine di tempo (ne seguiranno altre) è comparsa sul quadrante di Unicredit, che potendo contare su una posizione complessiva del 4,7% sulle Generali si candida ad essere un contrappeso sulla bilancia dello scontro finale per la conquista della compagnia. Da una parte Mediobanca, che continua a esercitare la sua influenza di primo azionista grazie ad aver imposto poco meno di tre anni fa la conferma di Philippe Donnet al vertice della compagnia. Proprio il manager francese (con passaporto italiano) ieri non ha esitato a commentare il blitz di Unicredit, dando per scontata una scelta di schieramento forse prematura. «Non sono sorpreso - ha detto - che investitori istituzionali abbiano l'appetito per unirsi a noi», alla luce di un nuovo piano che «è molto promettente e si preannuncia molta remunerazione». Dall'altra parte ci sono Mps - che ha lanciato un'Ops proprio su Mediobanca - l'imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin guidata da Francesco Milleri (entrambi forti azionisti di Mps, Mediobanca e Generali nonché alleati per un cambio al vertice sia a Piazzetta Cuccia che a Trieste). Senza trascurare Banco Bpm, deciso a vendere cara la pelle nell'ambito dell'Ops lanciata da Unicredit. Infine, c'è il Tesoro guidato da Giancarlo Giorgetti: azionista di Mps e osservatore interessato della partita su Generali, proprio a causa del controverso accordo nel risparmio gestito con i francesi di Natixis, e dell'offerta di Orcel su Piazza Meda, in quanto avrebbe voluto Bpm come perno del terzo polo bancario tanto auspicato dal governo. Quest'ultimo agisce anche utilizzando la golden power, per impedire grandi sconquassi ed evitare che nessun asset strategico finisca all'estero. (A proposito di golden power, tra oggi e domani Unicredit notificherà l'operazione su Bpm, che passerà il vaglio di Palazzo Chigi il quale valuterà se ci sono pericoli e pregiudiziali per l'interesse nazionale).
Su tutto questo gran movimento vigila un attore indipendente, che ha l'obbligo di agire da arbitro nell'interesse del mercato: la Consob. Nel 2022, in occasione dell'ultimo rinnovo dei vertici delle Generali, l'autorità guidata da Paolo Savona non ostacolò la pratica del prestito titoli da parte di Mediobanca che, grazie a quel 4,4% acquistato con l'elastico, ha determinato la vittoria della lista del cda contro il tandem Caltagirone-Delfin. Oggi però molto è cambiato, a partire dall'avvento di una legge Capitali che inibisce o comunque rende più difficoltosa la lista del cda, con Mediobanca obbligata a presentare direttamente i suoi candidati. E se è vero che non esiste ancora in Italia una legge che vieta espressamente il prestito titoli, nel giudizio su quella pratica dovrebbe prevalere una espressione di condanna che fino a oggi è mancata. Non foss'altro per il fatto che proprio Mediobanca non esita a citare le best practice internazionali per supportare la sua azione, mentre alla bisogna non esita a fare spallucce: prova ne sia il duro ammonimento dell'Isla (International securities lending association), che a fine 2021 fece recapitare a Piazzetta Cuccia proprio sul prestito-titoli. Si aggiunga che oggi, a differenza di allora, Mediobanca è sotto passivity rule, e dunque in una condizione che restringe massimamente la sua capacità operativa oltre al ricorso a certe pratiche.
Si vedrà come la Consob, che ci assicurano essere in questa fase molto vigile, intende affrontare queste tematiche. Con la convinzione che non basta possedere il crisma dell'indipendenza o lo scudo di una legge che ancora non c'è per giudicare nell'interesse del mercato. Di tutto il mercato.
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