«Questo decreto non riforma, ma uccide le banche popolari. Un sistema che ha sempre aiutato il Paese a crescere. Io che faccio l'imprenditore e il presidente di una banca di territorio dico che per l'Italia questa scelta non è un vantaggio». Gianni Zonin, viticoltore e presidente della Banca Popolare di Vicenza, dalla sua tenuta di Radda in Chianti per il fine settimana, accetta di parlare con il Giornale della riforma con la quale il governo vuole eliminare il voto capitario nelle prime 10 popolari del Paese. Vicenza inclusa.
Cavalier Zonin, è rimasto sorpreso dall'iniziativa del governo?
«Qualche banchiere è cascato dalle nuvole. Ma molti altri sollecitavano da tempo la proposta di riforma avanzata dalla nostra associazione (Assopopolari, ndr ). Noi della Vicenza siamo tra quelli. Stiamo studiando da tempo un ringiovanimento dello statuto per un assetto più moderno, ma sempre con gli occhi rivolti alla tradizione delle banche popolari. Allo stesso modo eravamo tra quelli che concordavamo sulla necessità di accelerare i tempi».
Se ne parla da anni: non è che ci stavate mettendo un po' troppo tempo?
«Francamente non so se siamo un po' in ritardo noi, o se qualcuno è voluto arrivare in anticipo. Ma mi pare si possa dire anche che il premier Matteo Renzi, che io stimo e a cui riconosco grande lucidità, poteva aspettare la nostra proposta, che stava arrivando. Invece questo blitz mi ha sorpreso: Renzi ripete che ascolta sempre tutti ma che poi decide lui. Ebbene qui mi pare che abbia deciso prima ancora di sentirci».
Cosa c'è che non funziona nel decreto del governo?
«È una riforma che uccide il sistema delle banche cooperative, salvando solo quelle che hanno un peso insignificante: le soglie (eliminazione del voto capitario sopra gli 8 miliardi di attivi, ndr ) sembrano fatte apposta per salvare il credito cooperativo delle Bcc. Eppure il problema delle cooperative, se esiste, è sempre lo stesso, per grandi e piccole, quotate o no».
Ma non le pare che le grandi popolari abbiano un serio problema di governance e di cortocircuito tra soci, dipendenti e sindacati? In questi anni sono scoppiati diversi casi problematici. Non le pare che a livello di settore possiate fare autocritica?
«Io non posso fare autocritica per il settore. Ma di certo non la faccio per quanto mi riguarda: non ho nulla da rimproverare al mio istituto. Nel 2016 faremo 150 anni di storia e sono stati anni con una valenza bancaria ed economica straordinaria. E comunque se il problema era quello della governance era sufficiente introdurre l'obbligo di porre negli statuti un limite agli incarichi dei consiglieri. Non c'era bisogno di eliminare il sistema cooperativo».
Ci dica qual è il rischio di agire in questo modo.
«Il problema è che le banche sono oggi valorizzate a forte sconto. Eliminando il voto capitario le mettiamo nelle mani di speculatori, fondi esteri; svendiamo loro il 25% dell'attività bancaria italiana. E in questo delicato momento aprire così il territorio alla concorrenza genera il rischio che questi investitori prendano il controllo dell'economia del Paese».
Non crede che, per esempio sul vostro territorio, si possano organizzare imprenditori o cordate per costituire noccioli duri di capitale?
«Stiamo parlando di miliardi. In questo momento l'imprenditoria nordestina non ha capitali così elevati da impiegare per operazioni di presidio di questo tipo. E il problema è che i fondi, invece, sono già presenti in massa nelle popolari quotate».
In occasione degli stress test di ottobre alcune popolari, tra cui la Vicenza, si sono salvate per il rotto della cuffia o con operazioni messe in cantiere all'ultimo momento. Possibile che quel tipo di esito abbia avuto un peso?
«La formula degli stess test ha creato un po' di sconcerto per il sistema Italia. Mi pare che anche la Banca d'italia lo abbia sottolineato. Noi, per esempio, avevamo 600 milioni di capitale in eccesso, che scendevano a 30 in presenza di uno scenario avverso calcolato semplicemente applicando un algoritmo molto discutibile. Il punto è che gli stress test hanno premiato quelle banche che hanno ridotto gli impieghi ai loro clienti. La Pop Vicenza, in questi anni di crisi, è tra le prime banche in Italia ad aver implementato il credito alla clientela. Viceversa avrebbero chiuso i battenti migliaia di aziende che invece sono ancora lì. Se questa è la nostra colpa, la accettiamo a testa alta. Ora che arriverà la ripresa, nelle province nordestine che più conosciamo come Vicenza, Treviso o Padova i risultati si vedranno e sarà anche grazie alla nostra politica».
Dica cosa chiedete al governo come associazione di banche popolari.
«Guardi, pur conoscendo Renzi come attento e lucido, qui gli è scappata un'accelerata troppo rapida e pericolosa. Gli investitori vengono per guadagnare e basta.
Allora dico che dare nelle loro mani senza cautele le banche che meglio conoscono l'economia del territorio va fatto senza fretta e con gradualità. Un conto è rinnovare la governance, un altro è cancellare il sistema cooperativo: il rinnovamento ci sta. Ma mi auguro che il premier accetti un ripensamento per poter esaminare a fondo le nostre proposte».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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