
Terre rare o materie prime critiche, in Italia inizia a svilupparsi un'industria di settore. Litio, cobalto e terre rare (elementi chimici presenti nei minerali ma difficili da reperire) sono indispensabili in molti ambiti industriali, soprattutto legati alla transizione energetica. Qualcuno le definisce il nuovo petrolio. Che sia così o meno, sta di fatto che queste materie prime sono la base dell'economia del futuro: dalla produzione di pannelli solari, alla turbine eoliche fino alle batterie per auto elettriche. Gli usi sono moltissimi e servono, per esempio, in settori chiave come quello nucleare e aerospaziale. La Cina ha un semi-monopolio sulla fornitura mentre gli Stati Uniti stanno incentivando estrazione e consumo sul suolo domestico. E, secondo gli ultimi accordi ancora in via di definizione, anche in Ucraina. In generale, l'Europa è indietro su questa tematica e la legge sulle materie prime critiche (Crma) prevede che entro il 2030 si estragga il 10% del fabbisogno di minerali strategici Ue, ne tratti il 40% e soddisfi un altro 25% della domanda con il riciclo.
Tra le aziende italiane, Eni sta sviluppando questo filone industriale per scopi nucleari. Il gruppo guidato da Claudio Descalzi e l'organizzazione nazionale del Regno Unito responsabile della ricerca e sviluppo sostenibile dell'energia da fusione (Ukaea) hanno siglato venerdì scorso un accordo di collaborazione per condurre attività di ricerca e sviluppo nel campo dell'energia da fusione, che avvia in primo luogo la realizzazione dell'impianto più grande e avanzato al mondo per la gestione del ciclo del trizio, combustibile chiave nel processo di fusione. L'impianto, denominato «Ukaea-Eni H3at Tritium Loop Facility», sarà localizzato nella sede Ukaea di Culham (Oxfordshire, Regno Unito) e sarà completato nel 2028.
A livello nazionale, invece, l'utility Iren guidata da Gianluca Bufo, e la società australiana Altamin Limited hanno firmato un protocollo d'intenti per condividere competenze e risorse complementari necessarie per sviluppare il Geothermal Lithium Project, un progetto di recupero del litio dalle salamoie geotermiche nel Lazio. Una partnership che è un passo significativo verso la creazione di una catena di approvvigionamento di litio sostenibile in Italia ed Europa.
Secondo lo studio realizzato da Ambrosetti, con 1,2 miliardi di euro di investimenti, l'Italia può ridurre la dipendenza dall'estero per le materie prime critiche di quasi un terzo, generando oltre 6 miliardi di euro di valore aggiunto per la filiera al 2040. Sul suolo italiano, che non ha praticamente terre rare, ma per lo più diverse materie prime strategiche, Glencore stava lavorando in Sardegna per la loro produzione attraverso il riciclo delle batterie agli ioni di litio. I progetti sono però arenati per il recente ostruzionismo della Regione. Secondo Ispra, in Italia vi sono ancora 76 miniere attive: ebbene, in 22 si scavano materiali che rientrano nell'elenco delle 34 materie prime critiche dell'Ue (in particolare in Sardegna, Toscana e lungo l'arco alpino).
In 20 di queste, si estrae feldspato, minerale essenziale per l'industria della ceramica e in 2 la fluorite (nei comuni di Bracciano e Silius), che ha un largo uso nell'industria dell'acciaio, dell'alluminio, del vetro, dell'elettronica e della refrigerazione. L'Italia sta dunque muovendo i primi passi, ma serve accelerare progetti e investimenti per ridurre la dipendenza estera e contribuire alla sicurezza strategica europea.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.