Tutti pazzi per lo scorporo. Ma la Borsa resta a secco

Le banche d'affari sfornano piani industriali fotocopia, schierando i fondi. Il rischio di svuotare la casa-madre

Tutti pazzi per lo scorporo. Ma la Borsa resta a secco
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Advisor e banche d'affari con nuove idee cercasi. Da anni ormai i piani industriali delle aziende italiane sono per lo più delle fotocopie. E tutti seguono lo stesso schema in quattro mosse. Si parte dalla selezione di un business aziendale: sia esso lo sviluppo green che cavalca la transizione energetica; oppure tecnologie a servizio della Difesa e della digitalizzazione dei processi; o ancora un nuovo modello di mobilità. Poi si passa allo scorporo e, infine, al lancio sul mercato con la vendita di una quota al solito fondo che, comprando una percentuale di minoranza, ne definisce il valore ricompensando l'azienda con un bell'assegno e una partecipazione di medio periodo, più o meno opportunistica. Di solito si ipotizza anche un eventuale passaggio in Borsa, ma negli ultimi anni non se ne è vista traccia. L'essere compresi nel listino ufficiale ha perso appeal e non è più come un tempo quando la società scorporata sovraperformava il mercato rispetto alla scorporante.

Il modello potrebbe essere ribattezzato schema-Eni perché, in origine, a implementarlo è stato proprio l'ad Claudio Descalzi. La sua strategia, definita «sistema satellitare», ha dato vita a una serie di società miliardarie (i satelliti) con business diversi da quelli core dell'oil and gas. È il caso di Enilive e Plenitude, che si sono emancipate da mamma Eni dando vita a business nei settori della mobilità e del green facendo emergere un valore prima nascosto.

Uno schema originale ma che, nel tempo, è stato replicato, più o meno fedelmente, in moltissimi altri piani industriali. Vedendo gli effetti che questo modello di sviluppo sta avendo sul gruppo di San Donato (le nuove entità valgono oggi qualcosa come 21 miliardi) c'è di che congratularsi. Ma, attenzione, non tutti sono l'Eni. Ed è possibile che banche d'affari e advisor siano pagati, profumatamente, per scopiazzare idee strategiche che dovrebbero essere tarate su misura per l'azienda che li ha ingaggiati. E quali possono essere i rischi di un'industria che va tutta nella stessa direzione, ma con forze industriali e capacità differenti? Sicuramente esiste la possibilità di perdere «pezzi pregiati della corona». Lo scorporo è infatti spesso funzionale all'estrazione di valore, ma va gestito e calibrato. Altrimenti, diventa un mezzo per fare cassa o per svuotare pericolosamente la casa madre. Anche perché non è sempre vero che il totale vale meno della somma delle parti.

Uscendo dallo schema recente (scorporo-valorizzazione-ingresso di un partner), la moda dello spin-off puro era già uno dei cavalli di battaglia di Sergio Marchionne per valorizzare i business sottostanti e monetizzare: Ferrari sganciata dalla Fiat ne è l'esempio migliore e più riuscito. Dallo scorporo, e dall'Ipo che ne seguì, la società ha guadagnato a Piazza Affari l'895 per cento.

Oltre al Cavallino, i casi storici non mancano. E con Cnh c'è l'esemplificazione di uno spin-off al cubo: nel 2022 da Cnh è nata Iveco che oggi lavora per dare vita a una terza «costola» nei veicoli militari e a una quarta per bus e furgoni. Stellantis, nel 2023, ha deciso poi di dividersi dalla robotica di Comau e, a fine 2024, l'ha ceduta completamente al fondo statunitense One Equity Partners. Di stretta attualità, poi, il progetto di Leonardo di staccare le aerostrutture dalla casa madre per dare spazio a un partner finanziario o industriale, e quello della utility romana Acea sui servizi idrici.

Nel mondo bancario, infine, Azimut sta dando vita a una newco ad hoc delle Reti di consulenti finanziari. Modelli virtuosi, che però richiedono massima attenzione da parte delle autorità di vigilanza affinchè lo scopo sia di valorizzare effettivamente la casa madre.

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