Unicredit ora prende tempo. Ma non molla la presa su Bpm

L'istituto: "Le prescrizioni non allineate alla normativa italiana ed europea". Attesi chiarimenti sul Golden Power

Unicredit ora prende tempo. Ma non molla la presa su Bpm
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Unicredit prende tempo sull'Offerta di scambio su Banco Bpm, ma non molla la presa. Dopo le prescrizioni del governo, l'istituto guidato da Andrea Orcel ieri ha divulgato un comunicato per dire che, al momento, «non è in grado di prendere alcuna decisione definitiva sulla strada da seguire in merito all'offerta» pubblica di scambio su Piazza Meda. Allo stesso tempo, però, Piazza Gae Aulenti ha ributtato la palla nel campo del governo dicendo di aver «risposto all'autorità esprimendo il proprio punto di vista sul decreto» e dunque «resta in attesa di un riscontro». Ai piani alti dell'istituto, come anticipato dal Giornale, si stanno già affilando le armi per fare ricorso al Tribunale amministrativo. I motivi si lasciano intendere tra le righe del comunciato: «L'uso dei poteri speciali in un'operazione domestica tra due banche italiane non è comune e non è chiaro perché sia stato invocato in relazione a questa specifica operazione, ma non per altre operazioni simili». Il riferimento, in tal senso, è al via libera senza condizioni alle Ops di Bper sulla Popolare di Sondrio e a quella di Mps su Mediobanca.

Il secondo affondo, inoltre, riguarda il merito delle prescrizioni, in particolare a finire nel mirino è il mantenimento del rapporto tra prestiti e depositi (quello di Bpm sarebbe a quota 125 e quello di Unicredit a 94) e l'obbligo di non diminuire l'esposizione a titoli italiani per Anima Holding, società dei fondi che Bpm ha ormai acquisito tramite Opa. Altro scoglio da superare è l'obbligo di uscire dalla Russia, aspetto che acquisirebbe ben altro peso a seconda che si tratti di ridurre l'esposizione con adeguati accantonamenti e stoppare la raccolta di nuovi prestiti e depositi (come sta facendo Unicredit che ha detto di voler azzerare la sua esposizione entro settembre) oppure se significasse un addio totale entro 9 mesi, il che sarebbe più complesso in un mercato dove il Cremlino ha voce in capitolo su chi vende e chi compra.

Per questi e per altri motivi, la banca sostiene che «le prescrizioni si prestino a diverse interpretazioni e appaiano non completamente allineate con la legislazione italiana e comunitaria, oltre che con le decisioni delle autorità regolamentari». Una affermazione, quest'ultima, che sembra confermare la possibilità di una battaglia legale. L'appiglio è che «le prescrizioni imposte a Unicredit, potrebbero danneggiare la sua piena libertà e capacità di adottare decisioni conformi ai principi di sana e prudente gestione in futuro» e addirittura portarla al rischio di incorrere in sanzioni.

L'idea che emerge, comunque, è di una banca più che interessata ad andare fino in fondo e disponibile a trattare sulle prescrizioni. Nonostante da ambienti di mercato vicini a Unicredit si sottolinei come la mancata concessione per l'operazione Bpm-Anima del cosiddetto Danish compromise, vale a dire l'agevolazione sugli accantonamenti alle banche che acquistano un assicuratore, unita alle nuove regole di Basilea 4 possano portare il Cet 1 (l'indice di solidità patrimoniale) di Bpm sotto la soglia del 12%, che sarebbe comunque in linea con i requisiti regolamentari ma sotto i parametri di Orcel.

Le mosse di un banchiere e uomo di mercato come il Ceo di Unicredit, infatti, vanno lette nel contesto di un mercato ballerino, dove la prospettiva di un tramonto dell'operazione Unicredit-Bpm potrebbe far perdere appeal al titolo dell'istituto guidato da Giuseppe Castagna e, a quel punto, far restringere o scomparire del tutto lo sconto e rendere più conveniente l'offerta della banca acquirente. A giocare dalla parte di Orcel è anche il tempo, visto che le clausole dell'Ops gli permettono di rinunciare entro il 30 giugno.

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