"Edward era come la copia contraffatta, la contraddizione di suo fratello"

Nell'Inghilterra della prima metà del '900, le vite e le morti di due grandi illustratori. Identici eppure opposti, si rendono artefici del proprio destino

"Edward era come la copia contraffatta, la contraddizione di suo fratello"

Disse è bellissimo come se fosse possibile alterare ritardo e redenzione - più tardi avrebbe trovato la cartella con i disegni delle pantere, centinaia di pantere bianche - tutti sapevano che Edward Detmold si univa carnalmente alla sorella - nessuno ricordava che trent'anni prima quell'uomo, riverso sul pavimento della cucina, reso eterno dal gas, era ritenuto tra i più considerevoli artisti inglesi del secolo.

Di solito il suicidio si soppesa a lungo, per anni, come una leccornia, eccezionali. Edward aveva 73 anni, della vita sapeva ciò che c'è da sapere: non attendersi nulla, accettare tutto, attenersi all'indifferenza, allo stato indifeso. I bambini pensano spesso alla morte e come sanno uccidere così potrebbero uccidersi. Un giorno si ricordò del fratello gemello, si era ucciso molti decenni prima lacerando la loro fama, precoce e violenta, era luglio, riusciva ancora a immaginare la pantera nel giardino di casa, ne valutava, proprio ora, le movenze, e si uccise, gli pareva giusto, un atto rimandato per troppo tempo.

È bellissimo - aveva capito tutto dal nastro isolante alla finestra - tornava dalla Messa: più che Dio, amava la liturgia, la pala d'altare che raffigurava La Comunione agli appestati, annientarsi nel retro di parole forgiate due millenni prima. Amava tenere a lungo il corpo di Cristo sulla lingua: chi non si sente appestato, chi non spera che qualcosa di luminoso lo raccolga da terra, si inginocchi? Il gas aveva preservato il corpo del suicida, lo aveva ringiovanito. Il fratello sembrava una pittura. Sarah chiamò i vicini, rasserenata, guardate il mio Edward, è bellissimo.

Uccidersi con il gas era il premio, un gesto di favore nei suoi riguardi. Non avrebbe sopportato il corpo martoriato, gonfio, strappato. Aveva spaccato la finestra con un sasso - sul corpo del fratello, che appariva nella nube blu, per parabole, i vetri sembravano secchiate di ostia, come quelle del quadro della chiesa di St. Andrew's, dipinto da un ignoto italiano nel Seicento, che, si diceva, mutano i contagiati in martiri, salvano gli incurabili.

All'ingresso della casa, forzato, più tardi, dai pompieri, un quadro ritraeva Sarah, diversi decenni prima, era il 1905, aveva vent'anni ed era incinta. Nel giardino la donna si accorse di tre piccoli uccelli morti, vicini al roseto. La volpe, probabilmente, la notte prima, si era accucciata lì a consumare il pasto. Sarah credeva che sarebbe rinata in volpe - il fratello, che da anni si preparava a morire, la guardava, ora, trasfigurato, dal roseto. L'aveva resa incinta, quella volta, nel 1905, e ancora, molto dopo. I vicini non capivano perché, al cospetto del cadavere, Sarah ridesse.

Al figlio diedero il nome Paul, Sarah fu data in moglie a un socio dello zio, un banchiere, più grande di lei di vent'anni. Paul, che Edward chiamava Stephen perché quello era il nome prediletto dalla sorella - e in fondo aveva l'amaro del martirio - morì a sei anni, giocando, sul bordo di un lago, in Spagna. Era in vacanza con Edward, che poi era suo padre: i più parlarono di disgrazia, qualcuno di grazia - i peccati degli adulti li scontano sempre gli innocenti. Quel giorno, dimenticando Paul, erano nella campagna di Malaga, ricca di fiori rossi e falchi ispirati, in spirali, Edward disegnava pantere. Era certo di aver visto una pantera abbeverarsi nel lago, poi fissarlo, con occhi latori di candore - era Paul che annegava. Dopo la morte del figlio irriconosciuto, verso cui tutti furono irriconoscenti, Sarah amò Edward di un amore più duro, basso, terreno, prepotente.

Sarah si era sposata nel 1906, il marito morì in un incidente quattordici anni dopo; il corpo del fratello morto era nella bara, in sala - avevano meticolosamente eliminato ogni amicizia per vivere in un antro, in un sole - e ringiovaniva ad ogni ora, ma lui, Edward, stava di fianco a lei, le metteva il dorso delle mani sugli occhi e lei sentì di precipitare nell'acqua. Le volpi, come tuoni, nel giardino, frantumavano la luce fino ad attingere al segreto della sera.

Era Charles, piuttosto, il fratello gemello di Edward, a essere bellissimo. Erano simili, certo, ma Edward era come la copia contraffatta del fratello, la sua contraddizione, il calco sbagliato. Da solo, Edward spiccava - lineamenti gentili, naso geniale, maschio, labbra grosse - nonostante gli occhi, severi, e quelle pupille d'acciaio; insieme al fratello la sua bellezza imperfetta lo faceva apparire brutto, anche se non lo era, e infelice, benché a volte fosse soltanto aggressivo. Sarah, come tutti, amava Charles - ma durante le estati nel Surrey, dove erano nati, ampie come un continente, fu Edward ad assalirla. I genitori preferirono separarsi quando i figli erano bambini: i gemelli furono affidati alle cure dello zio Shuldham, medico omeopata di fama e altrettanto famoso collezionista di oggetti giapponesi.

Dipinta su un paravento, Edward vide una tigre che sgozzava nella neve un fagiano - il felino tormentò per anni i suoi sogni, le tracce di sangue nel bianco proiettavano la sua vita in una profezia. La casa londinese dello zio era scura, immersa nell'ostilità e la tigre scattava, dal paravento, come un rogo, con la furia di chi consuma consumandosi.

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