Paola Mastrocola è una scrittrice ed una italianista molto nota (ha vinto il Premio Campiello nel 2004, con Una barca nel bosco). Il suo nuovo romanzo è Il dio del fuoco (Einaudi, pagg. 222, euro 19) e racconta la zoppicante, ma carica di vulcanica potenza, vicenda di Efesto, il fabbro degli Dei. Il risultato è una narrazione carica di echi classici ma dove echeggia con molta forza il tema della diversità. Dialogherà col professor Ieranò al Festival del classico di Torino.
Paola Mastrocola, lei ha scritto Il dio del fuoco, tutto centrato sul Efesto. Come le è venuta quest'idea?
«È un'idea che avevo da quasi vent'anni. Efesto è uno degli dei meno conosciuti. Di lui si sa poco ma quello che si sa è sconvolgente. È figlio della Dea Era, secondo alcune tradizioni solo di Era e non di Zeus, nasce deforme e la Dea lo lancia giù dall'Olimpo. Poi viene raccolto da due ninfe marine che lo crescono. Scopre il suo talento e diventa il più grande artista del mondo. Per me incarna l'idea di una persona che ha una profonda ferita nella vita, cercherà per sempre l'affetto della madre perduta, e che trova il risarcimento e il riscatto dentro la creatività. L'ho sempre trovato affascinante. Ho cercato di farne un romanzo anche se col mito è difficile. Perché il mito non ha tempo. Nel mito è tutto sullo stesso piano temporale...».
E questo lei ha cercato di trasporlo nella scrittura. Gli Dei si muovono in un contesto in cui il tempo assume senso solo quando interagiscono con gli umani...
«Noi siamo abituati al tempo loro, gli Dei no, ma i mondi si toccano. Io ho reso Efesto il più grande amico di Prometeo. Ed Efesto dovrà costruire le catene per Prometeo... Ed Efesto lo scoprirà all'improvviso. L'altro tema è che gli Dei sono affascinati da noi che moriamo. Efesto lo è e sembra quasi dirci che quasi siamo più fortunati, perché perdendo la vita le diamo più senso».
Efesto nel libro è attento agli uomini come Prometeo. Perché è un Dio diverso dagli altri? Un Dio imperfetto?
«Sì, è diversamente Dio. È l'unico Dio che lavora in tutto l'Olimpo. Ed è un lavoro faticosissimo, quello di stare davanti al fuoco tutto il giorno. È l'unico Dio che pur essendo immortale patisce sul corpo il peso del suo lavoro. Il fabbro dell'antichità è minato nel fisico... Ed Efesto rappresenta questo, è un Dio che soffre».
Il libro inizia con la descrizione mozzafiato di una caduta che torna sempre nei sogni di Efesto...
«Io ho sempre pensato che gli artisti siano tali perché non stanno bene nel mondo, hanno subito un'offesa originale. È un'immagine un po' romantica ma sono affezionata a questa idea di artista».
Efesto non è il Dio più bello ma ha un suo potere seduttivo. Da cosa nasce?
«Sì ce l'ha, io almeno gliel'ho dato. Perché poi la bruttezza, la bellezza... Non contano più di tanto. Ho preso un passaggio da Omero che si studia poco a scuola, in cui il poeta racconta che Efesto costruì delle fanciulle d'oro, degli automi. Dei robot ante litteram e questo nel mio romanzo ha un peso importante, una di loro conta molto per Efesto».
All'origine del mito di Efesto secondo lei cosa c'è?
«In origine il mito nasceva per spiegare qualcosa di misterioso, in assenza della scienza. C'era una potenza fantastica usata per spiegare le cose, e non dovremmo perderne l'uso nemmeno noi. A cosa è legato Efesto? In primo luogo alla potenza del fuoco.
Il fuoco era la vita e non a caso Prometeo lo ruba e viene punito. Il fuoco crea fondendo il metallo e lo rende plasmabile alla nostra volontà... E questo era un prodigio e far presiedere il prodigio a un Dio era più che normale. Un Dio molto umano però».
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