Nella storia degli Stati Uniti d’America c’è un momento doloroso che non ha trovato una rielaborazione completa nelle coscienze collettive di un popolo ancor oggi spaccato in due: la Guerra di Secessione. Guerra Civile, come la chiamano loro. Al di là di demagogici sfoggi di bandiere del Dixie e di beceri atteggiamenti secessionisti o altrettanto sciocche manifestazioni di superiorità intellettuale da parte del Nord, esiste ancor oggi una pesante zavorra storica. La guerra l’ha vinta il Nord, questo lo sanno tutti, ma davvero i valori del Sud sconfitto erano tutti negativi? O, piuttosto, come sempre succede, la storia è stata scritta dall’abile mano dei vincitori?
Edgar Laurence Doctorow, classe 1931, la storia la mastica e, soprattutto, la manipola da molto tempo, avendo fatto del romanzo storico il proprio cavallo di battaglia. Facendo leva su uno stile molto classico, ha rivisitato diversi momenti della crescita della sua nazione. Vale la pena di ricordare, in particolare, il riuscitissimo Ragtime, un ritratto delle tensioni sociali, razziali e culturali della New York dei primi del Novecento che l’omonimo film di Milos Forman ha tradotto magistralmente in immagini. Un classicismo, quello di Doctorow, che si ripropone nel suo ultimo romanzo, La marcia, un affresco storico delle umane bassezze e nobiltà d’animo della guerra fratricida che insanguinò il Paese dal 1861 al 1865. È un difetto o un pregio, tanto classicismo? Meglio lasciar decidere al lettore il quale, comunque, ha da tempo decretato il successo dell’autore.
Il romanzo racconta l’avanzata delle truppe unioniste guidate dallo scorbutico e folle generale William Tecumseh Sherman. Archiviando l’inevitabile cura nella ricostruzione storica, con descrizioni di scaramucce, battaglie vere e proprie, drappelli di soldati in rotta e bande di disertori avvinazzati, esodi di civili e spostamenti di truppe con tanto di salmerie al seguito, si può dire che questo è un libro non molto adatto per chi è debole di stomaco. Di sangue ve n’è a profusione, così come abbondano scene di violenza e orrori quotidiani. Verrebbe da dire che questo è un libro in cui anche l’olfatto entra in gioco: sembra di sentire il puzzo della guerra. Una guerra che viene raccontata per quella che era e che sempre sarà: uno scempio in cui viene a galla il meglio e il peggio dell’umanità.
Impossibile non pensare a certe immagini di Via col vento, il film che il regista Victor Fleming trasse, nel 1939, dall’omonimo romanzo di Margaret Mitchell, premio Pulitzer nel ’37, soprattutto quelle relative agli ospedali da campo e alle città del Sud date alle fiamme. Nella Marcia figure reali e personaggi nati dalla penna di Doctorow si intrecciano in una vicenda che ha per protagoniste diverse microstorie dal cui intreccio fluisce il racconto di un’epoca.
I protagonisti, tranne le iperboli di alcuni personaggi reali, sono i comuni mortali: gli schiavi che non sanno bene se approfittare della libertà appena conquistata, i disertori che cambiano divisa, le donne che divengono legittimo bottino di guerra, gli ufficiali medici che si trasformano senza accorgersene in segaossa. È la guerra come «non la vediamo» oggi.
Edgar Laurence Doctorow, La marcia (Mondadori, pagg. 365, euro 18).
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