La via elettorale non può passare dal referendum

La crisi del sistema politico italiano, si sa, non è nata ieri. Già agli inizi degli anni '90, l'avvio della esperienza referendaria sembrò promettere soluzioni positive che però, alla prova dei fatti, non hanno dato i risultati sperati. Se ne deve concludere che una via di uscita per la riforma della politica non può essere unicamente affidata alla risorsa di un ennesimo referendum elettorale. Sarebbe una pia illusione farlo credere ai cittadini, mentre sono sotto gli occhi di tutti le risultanze dell'attuale «bipolarismo» che non facilita la governabilità del Paese, preda in genere com'è di tentazioni radicalizzanti dall'una e dall'altra parte dello schieramento politico.
Tale situazione non consente la partecipazione, e di conseguenza promuove l'allontanamento della classe politica dai bisogni reali e dai problemi sociali, facilitando la costituzione di piccole e grandi oligarchie - grazie tra l'altro alla loro elezione senza la regola delle preferenze - che restano per lo più al riparo di una seria verifica del loro operato.
È accaduto così che, surrogando i passaggi necessari del consenso popolare, si sono venute consolidando strane impalcature «feudali», sul piano dei poteri tecnici e istituzionali, alimentate anche dai costi abnormi e scandalosi della politica.
Con gli attuali referendum, per i quali è in corso una campagna di raccolta di firme, non si intende rimuovere quella che pare la ferita maggiore del nostro sistema politico: e cioè l'espropriazione del diritto dei cittadini di scegliere, con la preferenza, chi li deve rappresentare in Parlamento, mentre si vorrebbe attivare un passaggio dal bipolarismo (coatto) ad un non bene precisato bipartitismo (altrettanto coatto) con il beneplacito di un premio di maggioranza.
Come è facile prevedere, la situazione allora non cambierebbe di molto e con essa si ripeterebbero i vistosi difetti di governabilità che tutti hanno sotto gli occhi. L'impianto complessivo resterebbe quello esistente con la conseguenza di maggioranze non omogenee, la frammentazione di partiti e partitini, e listoni bloccati decisi dai vertici, senza possibilità di correzione nella eventualità di maggioranze diverse alle due Camere, come ha dimostrato una recente simulazione di Renato Mannheimer.
Al di là delle sirene referendarie, solo una iniziativa responsabile e decisa del Parlamento e delle forze politiche può invece determinare un nuovo ed efficace indirizzo di riforma. È necessario trovare le forze e lavorare in questa direzione perché si dia vita ad una legge elettorale adeguata ai tempi, possibilmente accompagnata anche da alcune modifiche costituzionali, come la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto e la costituzione del Senato delle Regioni.
È un bene che da entrambe le coalizioni stiano in questo senso emergendo posizioni convergenti sull'apprezzamento del sistema elettorale tedesco - la cui forma di governo è il cancellierato - che compone sistema maggioritario e proporzionale, fissa una quota significativa di sbarramento per evitare la frantumazione dei partiti, prevede la sfiducia costruttiva.
Con la riforma elettorale si tratta di perseguire lo sviluppo di un bipolarismo, non prigioniero delle ali estreme, funzionale all'alternanza, in grado di governare con maggioranze, oltre che stabili, omogenee, non coercitivo della rappresentatività e del pluralismo, che restituisca agli elettori la possibilità di scelta dei loro rappresentanti in Parlamento e sul territorio.
La Cisl è da sempre favorevole all'avvio di una coerente democrazia della alternanza. E ad un «bipolarismo» che assicuri rappresentatività, pluralismo, partecipazione, con un ruolo forte del sociale, per restituire alla politica il fondamento morale che dà fiducia alle persone rispetto all'agire comune, al prendere parte, dà senso e rende feconde le sue competizioni. La via deve essere quella parlamentare e dell'impegno bipartisan.
Ci sembra invece un comportamento quanto meno contraddittorio quello di quanti firmano i referendum per sollecitare, attraverso un atto di sostanziale sfiducia, l'iniziativa parlamentare, tanto più, poi, quando costoro sono autorevoli esponenti dello stesso Parlamento.
Le forze politiche devono essere capaci di superare il rischio di una ulteriore delegittimazione.

Ecco perché la Cisl vuole una soluzione parlamentare e non «referendaria» della crisi politica: perché si abbia una soluzione largamente condivisa, idonea ad un modello di democrazia che assicuri piena rappresentatività e vera partecipazione.
Raffaele Bonanni
*Segretario Generale Cisl

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