"Enea, l'eroe diverso dell'Europa"

L'autrice spagnola parla del suo "romanzo dell'Eneide". Dove fa incontrare Omero e Virgilio

"Enea, l'eroe diverso dell'Europa"

Dopo avere raccontato la meravigliosa avventura del libro in Papyrus. L'infinito in un giunco (Bompiani 2021), tradotto in 35 lingue, Irene Vallejo, filologa e scrittrice spagnola con studi universitari a Firenze, osa nientemeno che «il romanzo dell'Eneide»: Il mio arco riposa muto (Bompiani, pagg. 224, euro 18), che presenterà in un tour fra Roma (oggi, Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea, ore 18), Alghero (il 5 ottobre), Capri (il 7) e Napoli (l'8). Il destino di Enea si intreccia ai tormenti creativi di Virgilio, le ferite amorose di Didone (che nel libro è Elissa) alle manovre del dio Eros, la fuga dei troiani ai viaggi di tanti ultimi del nostro mondo. Irene Vallejo ce ne parla da Saragozza, in perfetto italiano.

Come ha deciso di scrivere un romanzo sull'Eneide?

«L'ho deciso quando lavoravo per un giornale spagnolo. Ero sconvolta dalla guerra in Siria: le famiglie in fuga dalla tragedia si mettevano in viaggio di nuovo attraverso il Mediterraneo, come nell'Eneide. Mi colpisce che il grande poema epico dell'Impero Romano presenti un eroe così anomalo: un perdente che fugge da Troia quando la città cade in mano al nemico. Enea è la prima iconografia del migrante in cerca di una nuova vita, sempre sull'orlo del naufragio».

Lo sconfitto diventa l'eroe?

«Virgilio, testimone della guerra civile romana, scelse di incarnare l'epopea dell'Impero non in un soldato invincibile, bensì in un esule ferito dalla perdita e dalla paura. Contro ogni previsione, la storia della costruzione europea ha al centro un veterano stanco, che preferisce la cura alla lotta. E, proprio per l'attualità e l'audacia di questo classico, ho sentito il desiderio di entrare in un nuovo dialogo con Enea e di ricrearlo da un punto di vista fedele e, allo stesso tempo, intriso di conflitti contemporanei».

Non è un'impresa rischiosa?

«Certo... D'altra parte, credo che il precedente degli stessi scrittori antichi mi autorizzi a giocare con i nostri miti fondatori. E poi le opere contemporanee sono raramente indipendenti: fanno parte di un intreccio che reinventa e adatta una serie di soggetti affascinanti, significati e storie senza tempo».

Come ha trovato il linguaggio e lo stile adatti?

«Durante gli anni di dottorato e di ricerca ho tradotto e letto molti testi antichi. La traduzione è un modo profondo di interiorizzare una lingua. Qui ho giocato a ricreare le metafore e i paragoni dell'epoca con una sensibilità lirica contemporanea e anche con dei nuovi ingredienti, che compaiono nel personaggio del dio Eros: l'ironia e l'umorismo. Ho attinto anche a modelli contemporanei: sono un'appassionata lettrice di Italo Calvino, e mi sono interessata alle incursioni nei temi mitici di Ursula K. Le Guin, Alessandro Baricco, Anne Carson, John Banville o Neil Gaiman».

Nel libro si alternano più voci in prima persona.

«La sfida è stata quella di affrontare personaggi antichi con tecniche letterarie attuali: rompere con il narratore onnisciente che parla a nome di tutti i personaggi, dare loro la parola e, così, esplorare come mentono, sbagliano, offuscano e fraintendono gli altri. Solo il lettore e il dio Eros hanno accesso a tutti i punti di vista».

La voce di Virgilio è invece in terza persona. Perché?

«Virgilio, incaricato dal potente imperatore Augusto di scrivere l'Eneide, è spinto a diventare un propagandista del potere. Nel corso del romanzo assistiamo alla sua angosciosa ricerca di una voce propria: solo quando ci riesce, passa dalla terza alla prima persona. Cessa di essere un portavoce e ritrova sé stesso come narratore. Anche questo è un tema caldo: l'ombra dei potenti sul discorso».

Pensa che l'arte sia più potente del potere stesso, che la letteratura duri più degli Imperi, come l'Eneide rispetto a Roma?

«Raramente un'opera letteraria o artistica dura nel tempo. Ho trascorso più di un decennio a studiare la trasmissione delle opere che chiamiamo classici, e la mia conclusione è che una storia è qualcosa di estremamente fragile: un arazzo di parole. Ho scritto di questa avventura in Papyrus. Solo pochi, pochissimi testi riescono a sopravvivere all'epoca in cui sono nati. Se pensiamo alle antiche storie che provengono dall'oralità, sembra quasi impossibile essere riusciti a salvare un'eredità così eterea. Non solo il potere e la censura minacciano questi testi, ma anche i denti del tempo, l'acqua, il fuoco, il fanatismo e l'indifferenza: ecco perché la sopravvivenza dell'Eneide o dei libri di Ovidio, esiliato da Augusto, sono eventi eccezionali. Qui la parola artistica ha vinto».

Un momento bellissimo è l'«incontro» fra Virgilio e Omero: come lo ha immaginato?

«L'incontro tra Omero e Virgilio ha a che fare con quell'affascinante abolizione del tempo che la letteratura consente, permettendoci di ascoltare la voce dei morti e di sentirli vivi accanto a noi. Ma ho voluto parlare anche dell'angoscia, delle influenze, dell'amore e della paura suscitati da quegli autori che ci spingono a scrivere e, allo stesso tempo, ci intimidiscono: fantasmi amichevoli ma allo stesso tempo irraggiungibili... Virgilio viene incaricato di scrivere un poema che rivaleggi con quelli di Omero: deve risolvere l'ansia provocata dal prestigio di Omero prima di iniziare a scrivere la sua Eneide, che sarà molto più di un'imitazione. Il magico dialogo tra i due simboleggia questa faticosa emancipazione».

Enea e Elissa sono entrambi fuggiti dai loro Paesi, per ragioni diverse. E si chiedono: siamo sfuggiti abbastanza lontano? Da che cosa si fugge, e quando è davvero abbastanza lontano?

«A un certo punto del romanzo si dice che l'unico persecutore è il passato. E, siccome il passato viaggia radicato in noi, non si può mai fuggire abbastanza lontano dai suoi fantasmi. Tutti i personaggi del romanzo hanno un passato non dichiarato, che continua a plasmare il loro presente. Come scrittrice, mi interessa il peso dei segreti. Tutti noi li abbiamo».

Enea è combattuto fra seguire il destino che gli dèi gli hanno assegnato o l'amore per Didone. È un conflitto possibile per l'uomo di oggi?

«È proprio questo il significato della parola dilemma: una scelta in cui tutte le opzioni comportano una perdita. Questo accade troppo spesso, in politica, sul lavoro e nella vita privata. Un aspetto curioso dell'Eneide è l'inversione dei ruoli tradizionali: Didone/Elissa è qui la presenza forte, appassionata e potente in quanto regina, mentre Enea è indifeso e bisognoso di soccorso. Non ha la furbizia e l'eloquenza di Odisseo, né l'energia vittoriosa di Achille. È uno che sopporta e va avanti, un eroe stoico. Mi fa pensare alla mia famiglia paterna, nata in Castiglia: gente robusta, solida, stabile, abituata alle difficoltà, laconica. Enea può essere irritante, ma mi sembra molto umano».

Perché abbiamo tanto bisogno di miti e leggende, come ci schernisce Eros?

«Le storie non offrono alcun beneficio evidente: appartengono al regno dell'utilità dell'inutile, come ha scritto Nuccio Ordine. Sono il nostro modo di rapportarci all'esperienza e sono, anche, un'arte necessaria per vivere insieme: le narrazioni condivise ci legano.

Come disse Oliver Sacks a Jean Claude Carrière: Una persona normale è una persona capace di raccontare la propria storia. Qualcuno che sappia dire da dove venga, a che punto della sua storia si trovi e quale sia l'orizzonte del suo viaggio».

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