Cos’è l’enshitting, il male che attanaglia tutti i social

Il nome è evocativo, l’enshitting è proprio ciò che si può intuire, ossia la tendenza delle piattaforme social al caos che ne rovinano le potenzialità e ne sminuiscono l’uso

Cos’è l’enshitting, il male che attanaglia tutti i social

L’enshitting è un fenomeno già noto che torna in auge perché TikTok, per quanto giovane, ne comincia a soffrire. Forbes ha evidenziato che nei flussi video degli utenti non passano soltanto quelli di loro interesse ma quelli che più stanno a cuore a TikTok per potenzialità commerciali.

Si può obiettare che non ci sia nulla di strano perché le piattaforme sociali devono guadagnare per continuare a esistere. Fanno le stesse cose Facebook, Google e molte altre Big tech ed è proprio questo il motivo per cui, secondo il giornalista e attivista dei diritti digitali Cory Doctorow, stanno imboccando la strada che conduce “alla fine”.

L’enshitting e l’enshittification

Appare chiaro quale deriva stiano prendendo le piattaforme social che, a questo punto, soffrono quasi di schizofrenia. Da una parte sono dichiaratamente in fase discendente e si danno un gran daffare per risalire la china, dall’altra parte fanno di tutto per farsi del male. Più a una Penelope che fa e disfa, siamo confrontati con un auto-sabotaggio che, però, è tutt’altro che inconscio. Sono schiave di loro stesse e delle pratiche, non sempre corrette, attuate negli anni. Vorrebbero smettere, ma non possono.

Secondo Cory Doctorow, le piattaforme social prima coccolano i loro utenti e poi ne abusano per assecondare i propri clienti commerciali, salvo poi abusare anche di questi ultimi. Da qui, dice Doctorow, si va verso il declino.

Declino che non coincide con la morte ma che dovrebbe ispirare un cambiamento radicale che fa fatica a decollare, proprio perché o attira utenti trattandoli bene, o li strapazza per monetizzare. Trovare un equilibrio tra le due condizioni diventa complesso, soprattutto se le piattaforme social sono quotate in borsa e il loro valore dipende dal gradimento finanziario di un numero ampio di azionisti.

L’enshittification in pratica

Doctorow fa un esempio che ognuno può verificare da sé. Cercando su Amazon “letti per gatti” si ottengono dapprima risultati sponsorizzati, ovvero quelli dei venditori che hanno pagato appositamente per apparire tra i primi. Poi ci sono i prodotti che Amazon ha copiato, omettendo di fatturare a sé stessa il 45% del prezzo di vendita che richiede agli altri venditori. Questo mette in difficoltà i venditori (fino a farli fallire, dice il giornalista canadese) ed è parte del processo a spirale che conduce all’enshittification: prima i venditori vengono coccolati, poi messi in difficoltà fino ad accusare il colpo dal punto di vista economico-finanziario. Questo atteggiamento può essere esteso ai singoli utenti e non soltanto a venditori e inserzionisti.

La stessa cosa è successa agli utenti Facebook: all’inizio erano trattati bene, avevano accesso rapido e diretto a ciò che pubblicavano le persone a loro più care (gli “amici”), poi hanno cominciato a vedere nei rispetti feed dei contenuti prodotti da persone o soggetti che non seguivano. Dapprima si trattava di notizie, messe in bella mostra affinché gli utenti ci cliccassero sopra per approdare sul sito di news che le aveva pubblicate, indirizzando così traffico e click.

In questo modo i media online sono diventati dipendenti da Facebook che, per pura pratica commerciale, ha cominciato a penalizzare quei media che spendevano meno per pubblicizzare i propri articoli, passando poi a estendere pratiche simili ad altri inserzionisti.

Sistemi simili sono attuati da qualsiasi piattaforma social con il risultato, per l’utente finale, di diventare oggetto inconsapevole di politiche commerciali.

Sono gli utenti a decretare il successo di un social e sono loro il primo agnello sacrificale a cui viene concesso di muoversi in libertà fino a un certo punto, perché cosa vedranno e cosa saranno indotti a fare lo decide la piattaforma stessa.

Gli utenti continuano a usare le piattaforme e chi vende prodotti e servizi non riesce a smettere di pagare per le inserzioni mirate, cosa che induce le piattaforme stesse ad alzare i prezzi della pubblicità.

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