La notizia è presto esaurita. Un utente ha pubblicato su Twitter la prova che WhatsApp ha attivato il microfono del suo smartphone senza la sua autorizzazione. Nel caso specifico si tratta di un elenco delle attività del microfono avvenute durante la notte.
Il dubbio che subito ha preso quota è il solito: WhatsApp ci ascolta a nostra insaputa? (E questo vale anche per altre app o assistenti quali, per esempio, Siri o Alexa).
Quanto c’è di plausibile in tutto ciò?
WhatsApp accede al microfono degli smartphone
È fuori dubbio ed è stato dimostrato. È stato anche chiarito che si tratta di un bug di Android, il sistema operativo di Google che viene usato dai maggiori produttori di dispositivi mobili. È una cosa molto grave ed è un bene che sia emersa e, in ultima analisi, nella questione delle ingerenze di WhatsApp ha un valore relativo.
Gli utenti hanno il diritto di preservare la propria privacy e WhatsApp non ha il diritto di violarla, anche se ciò dipendesse da falle del sistema operativo su cui viene eseguita, cosa questa che non è ancora chiara e che deve in ogni caso essere scongiurata.
Sarebbero necessarie indagini approfondite affinché i garanti per la privacy possano fare valutazioni più precise, a prescindere dal fatto che le eventuali responsabilità siano da ricondurre a Google (Android) o a Meta (WhatsApp). Nel frattempo, e questo non può essere ritenuto sufficiente, WhatsApp ha preso ufficialmente posizione sostenendo che i dati riportati dalla Privacy Dashboard di Android non sono corretti. Una scusa debole, fino a prova contraria, perché il tema delle presunte ingerenze dell’app non è nuovo e si ripresenta ciclicamente.
Ciò che va sottolineato è l’evidenza delle cose: se WhatsApp (o qualsiasi altra applicazione) ascoltasse le conversazioni senza l’autorizzazione degli utenti ci sarebbero conseguenze molto gravi, potenzialmente distruttive per chi le produce.
Le autorità preposte userebbero il guanto di ferro e si verificherebbe un fuggi-fuggi generale degli utenti. Ma c’è di più: Meta, che produce Facebook, Instagram e WhatsApp, sa così tante cose degli utenti (che profila in decine di migliaia di categorie) da rendere inutile un ascolto selettivo delle loro conversazioni.
Interferire in modo così profondo aggiungerebbe molto poco rispetto ai danni che può comportare.
Nella polemica si è infilato anche Elon Musk
Il patron di Twitter ne ha approfittato per gettare benzina sul fuoco, sostenendo che non ci si può fidare di WhatsApp. È il suo pensiero e come tale va riportato, aggiungendo però che tra lui e l’amministratore delegato di Meta Mark Zuckerberg non corre buon sangue e aggiungendo anche che Musk ne ha approfittato per ribadire le nuove funzionalità di Twitter, grazie alle quali sarà possibile inviare anche messaggi video e audio (facendo così concorrenza anche a WhatsApp).
Va relativizzato anche l’intervento di Yann LeCun, un mostro sacro della ricerca sulle Intelligenze artificiali, che ha difeso Meta, azienda per la quale lavora.
Non può bastare neppure il parere di Alphabet (Google) che, mediante un portavoce, ha confermato il bug e ha detto anche che, con la collaborazione di Meta, si sta cercando una soluzione al
problema. Ciò non toglie che le autorità per la tutela della privacy dovrebbero indagare, perché non possono essere sufficienti i pareri di Google e di Meta, aziende non sempre ligie nel rispettare privacy e riservatezza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.