La Cina sulla rotta dei ghiacci. È la rivoluzione dei commerci

Per la prima volta un mercantile di Pechino verso l'Europa attraverso l'Artico. Risparmierà 15 giorni a viaggio e 700 miliardi. Ma Mosca non gradisce

La Cina sulla rotta dei ghiacci. È la rivoluzione dei commerci

Un tempo era la Guerra Fredda. Oggi è la «guerra del ghiaccio». E a combatterla stanno arrivando anche i cinesi. I primi a disegnarne la linea del fronte furono, nell'agosto 2007, due batiscafi russi spediti ed esplorare 1800 chilometri di montagne e fiordi sottomarini conosciuti come dorsale Lomonosov e a piantare la bandiera di Mosca 4000 metri sotto il Polo Nord. Con quella spedizione Vladimir Putin fece capire di esser pronto a giocare la partita per il controllo delle rotte artiche di nord est e dell'eldorado sommerso in cui si celano, si dice, il 13 per cento delle riserve di petrolio e il 30 per cento di quelle gas del pianeta. Ma più di quel tesoro ibernato ed ancora irraggiungibile contano le rotte i commerci. E quando si tratta commerci i cinesi non si tengono certo in disparte.

Così, cinque anni dopo l'inizio delle ostilità, ecco scendere in campo la Yong Sheng, un mercantile di 19mila tonnellate salpato lo scorso 8 agosto da Dalian, nella Cina nord orientale, e diretto a Rotterdam. La decisione di Pechino di entrare nella grande competizione per il controllo dell'Artico è tutta nella rotta del mercantile. La Yong Sheng, a differenza del solito, non attraverserà il canale Suez, ma lo stretto di Bering. Da lì, dove è attesa il 25 agosto, punterà sul mar di Barents per poi scendere lungo la costa norvegese ed approdare alle banchine di Rotterdam. Grazie a questo tragitto, mai tentato prima dai cinesi, il mercantile dovrebbe tagliare di 15 giorni i tempi di navigazione e ridurre notevolmente i consumi di carburante.

Dietro la missione dello Yong Sheng si cela un affare capace di rivoluzionare i traffici tra Europa ed Estremo Oriente e garantire a Pechino commerci sempre più lucrosi. Secondo gli analisti di Pechino spostando solo il dieci per cento dei commerci sulle rotte dell'Artico si risparmierebbero 683 miliardi di dollari mentre il fatturato dei porti nord orientali del Continente giallo potrebbero raggiungere il fantastico fatturato di 7,6 trilioni di dollari. La chiave di quest'affare trilionario è lo scioglimento dei ghiacci della calotta artica ridottisi - comparando le rilevazioni dello scorso 15 luglio a quelle del 1981 - di oltre 1 milione e 60mila chilometri quadrati. Così là dove 30 anni fa regnava il bianco perenne possono ora transitare navi e flotte di tutto il mondo.

Per capire l'entità e la potenzialità della rotta basta seguire l'intensificazione dei traffici registratasi dal 2009, quando la ritirata dei ghiacci permise per la prima volta a due navi di sperimentare la rotta dall'Asia all'Europa costeggiando la Russia settentrionale. Nel 2010, dopo quel primo esperimento, i capitani coraggiosi pronti a tentar la nuova via erano già 18. Salirono a 34 nel 2011, diventarono 46 l'anno passato e quest'anno sono già 204. L'unico intralcio alla potenziale cornucopia appresentata dalle rotte artiche di nord est è la Russia. Mosca, come già ha fatto capire fin dall'agosto del 2007, intende mantenere uno stretto controllo sulle nuove rotte e garantirsi una larga fetta delle future risorse artiche. Ma Pechino non ha nessuna intenzione di mollare. Facendo valere la sua potenzialità commerciale e corteggiando i Paesi dell'Europa settentrionale interessati ai suoi prodotti è già riuscita a farsi accreditare come osservatore all'interno del Consiglio Artico, l'organo internazionale - formato da Stati Uniti, Canada, Russia, Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia e Islanda - incaricato di supervisionare tutti le politiche e gli accordi commerciali riguardanti il circolo polare artico. Per Usa, Canada e Norvegia, impensieriti dalle mosse della Russia anche a livello geo strategico e militare, l'occhio della Cina rappresenta un elemento di pressione.

Nel circolo ristretto chiamato a decidere le sorti del Polo Nord siede come osservatore, in virtù del suo passato di potenza marittima, anche l'Italia.

Ma a differenza degli altri Paesi membri, il nostro guarda con molta preoccupazione allo sviluppo delle rotte artiche: se la Cina abbandonerà Suez per Bering alcuni dei nostri porti rischieranno la chiusura per mancanza di commesse.

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