Il rapporto degli ispettori inviati dall'Onu in Siria per verificare chi e come vi abbia impiegato armi chimiche non fornisce elementi utili alla causa dell'attacco contro Assad. Intanto perché ha preso in considerazione un periodo che finisce il 15 luglio, cioè oltre un mese prima della strage del 21 agosto di cui Assad viene accusato. E poi perché comunque fino a lunedì non sarà presentato. Le anticipazioni indicano che vi si sostiene che i gas letali sarebbero stati usati «prevalentemente» dalle forze legate al regime, e chissà cosa vorrà mai dire. Si tratta tra l'altro di conclusioni che paiono contraddire le informazioni fin qui disponibili, tanto che perfino la solitamente prudentissima Lady Ashton - che rappresenta l'evanescente politica estera dell'Unione Europea - si è sentita in dovere di ricordare che in Siria «solo il regime dispone di armi chimiche e della capacità di lanciarle».
In attesa di meglio conoscere i contenuti delle indagini dell'Onu, continua la faticosa quotidianità della diplomazia. La Russia ha fatto avere agli Stati Uniti la propria bozza di un piano per mettere le armi chimiche siriane sotto controllo internazionale. Obama - che ieri mattina al Pentagono ha tenuto un discorso commemorativo dell'Undici Settembre ricordando che «finché ci saranno pericoli bisogna restare vigili per difendere il nostro Paese» - accetta di tenerne conto, ma John Kerry ammonisce che la Casa Bianca «non attenderà a lungo»: il segretario di Stato discuterà della questione a Ginevra «per almeno due giorni» con il collega russo Serghei Lavrov. Secondo fonti israeliane peraltro per recuperare e distruggere tutte le armi chimiche presenti in Siria potrebbero volerci anni.
Rimane forte il sospetto che Assad abbia accettato sotto pressione russa di darsi disponibile a consegnare il proprio arsenale chimico per guadagnare tempo ed evitare un attacco. Non a caso la Francia ha annunciato che la bozza che intende presentare in Consiglio di Sicurezza contiene un ultimatum a Damasco: 15 giorni di tempo per dichiarare e portare le armi chimiche «sotto il controllo internazionale», pena il deferimento della Siria alla Corte penale internazionale affinché Bashar Assad sia giudicato per crimini contro l'umanità e la minaccia dell'uso della forza se Damasco non rispetterà gli impegni assunti.
Continuano in queste ore al Palazzo di Vetro di New York i contatti informali tra le delegazioni di Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, i cinque «grandi» che dispongono di un seggio permanente con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza. Riunioni blindate, alla ricerca di una difficile intesa sulla proposta russa di affidare le armi chimiche siriane alla comunità internazionale. Gli occidentali vorrebbero una risoluzione vincolante che includa un riferimento al capitolo VII della Carta Onu (che autorizza all'uso della forza in caso di mancato rispetto degli accordi) mentre Mosca non vuole che vada oltre una generica dichiarazione priva di eventuali effetti sanzionatori.
La Casa Bianca conferma che «stiamo lavorando con le Nazioni Unite e la Russia» e trova il modo di cantare vittoria: «È un dato di fatto che fino a due giorni fa il regime di Assad non ammetteva neppure di possedere delle armi chimiche. Abbiamo visto più cooperazione negli ultimi due giorni che negli ultimi due anni, la pressione esercitata ha sortito i suoi effetti».
Al tempo stesso, però, in Siria continuano i massacri nell'assoluto spregio delle regole minime di civiltà che dovrebbero regolare anche i conflitti.
Una Ong vicina all'opposizione ha denunciato, citando testimonianze di medici e di civili oltre che di militanti, che «almeno 11 persone» sono morte ieri in un raid aereo delle forze armate del regime condotto contro un ospedale di fortuna ad Al-Bab nella provincia di Aleppo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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