JDABIA - “Voi italiani vi comportate come il governo libico. Organizzate una conferenza internazionale per discutere il futuro della Libia e non ci invitate neppure a Roma. Dovete fare attenzione….trascurando il nostro movimento ignorate l’opinione della maggioranza della Cirenaica. Gheddafi ci aveva provato e la Cirenaica gli è scoppiata fra le mani. Senza di noi la vostra conferenza sarà un fallimento. Non raggiungerete nessun risultato”. Ibrahim Jadran prima di riceverci ci lascia a mollo per sette ore nella stanza di un fatiscente condominio di Jdabia, la sua città natale 140 chilometri a ovest di Bengasi. Ma il vero arrabbiato sembra lui. Il mancato invito alla conferenza internazionale sulla Libia organizzata Roma agli inizi di marzo non gli va né, su né giù. Non ha tutti i torti. In fondo a Roma si discuterà del caos libico e di quel caos questo 32 enne capo miliziano - nero come il carbone - è un indiscusso attore. Fino a sette mesi fa era solo il comandante di una delle tante milizie del paese. Oggi invece è un autentico signore del petrolio. E un aspirante leader politico. Ma è anche il nemico giurato dei Fratelli Musulmani e delle formazioni islamiste accusate di controllare il governo e approfittare dei “petroldollari” per finanziare i gruppi armati e la campagna di attentati che semina il panico a Bengasi e dintorni.
L’origine della sua stupefacente ascesa è il contratto con cui nel 2012 il governo di Tripoli gli affida la difesa di Ras Lanuf e Zuetina i terminali dove confluisce il greggio della Cirenaica, scrigno dei più importanti giacimenti del paese. Difficile spiegare perché la scelta cada su di lui. In fondo anche il suo passato di sincero anti-gheddafiano è perlomeno controverso. Secondo i suoi sostenitori la sua carriera di rivoluzionario inizia nel 2005 quando Ibrahim e i suoi fratelli, rampolli di un colonnello dell’esercito, vengono accusati di aver organizzato in gruppo armato e sbattuti nella prigione-inferno di Abu Salim. Secondo i suoi nemici quell’infortunio di gioventù, costatogli sei anni di galera, è frutto del vizietto dei fratellini Jadran d’intrufolarsi nelle caserme comandate dal papa e far man bassa di automobili e fuoristrada. Comunque sia la vera svolta arriva nell’agosto 2013 quando Ibrahim approfitta della presenza all’interno dei terminali per bloccare la distribuzione del petrolio. Da quel momento la produzione precipita da un 1milione 650mila a meno di 400mila barili al giorno causando perdite per oltre 7 miliardi di dollari. E se Tripoli piange Roma non ride. La paralisi produttiva costa all’Eni il blocco dei pozzi cirenaici di Abu Attifel e di Bouri con un salasso pari a circa 120mila barili di greggio al giorno. Quel colpo di mano segna anche la metamorfosi di Ibrahim. Acclamato come leader supremo dai cosiddetti “federalisti” della Cirenaica Jadran abbandona la mimetica, indossa la giacca blu e si propone come il paladino delle rivendicazioni autonomiste della Cirenaica, della lotta ai Fratelli Musulmani e ad un governo succube dei loro diktat. “Ho dato l’ordine di bloccare i terminali per metter fine alle loro ruberie - spiega Jadran in questa intervista esclusiva a “Il Giornale”, una delle pochissime rilasciate da agosto ad oggi. “Per due anni quella gente ha continuato a vendere all’estero il petrolio della Cirenaica e a intascarne i proventi senza garantirci risultati concreti. Non hanno messo in piedi né un esercito, né una polizia in grado di proteggere i cittadini, non hanno costruito né ospedali, né scuole. E la vita è peggiorata di giorno in giorno. Prima di bloccare il petrolio abbiamo chiesto di vedere i conti. Volevamo sapere quanto petrolio era stato venduto, a chi, quanto era stato incassato e come erano stati utilizzati i soldi. Ma il governo non ci ha mai dato risposta. Per questo siamo intervenuti. Il petrolio è di tutti i libici. Meglio tenerlo bloccato che farcelo rubare”.
Ma senza quel petrolio il paese rischia di sprofondare nel caos…
Abbiamo scelto il male minore. Lo so il blocco del petrolio costa tantissimo, ma restare a guardare sarebbe stato peggio. Quei soldi sarebbero stati rubati senza alcun beneficio per la popolazione come è già successo dalla fine della rivoluzione ad oggi.
Chi accusa per queste ruberie?
I responsabili principali sono i gruppi islamici deviati che dopo la rivoluzione sono riusciti a farsi eleggere e a imporre il proprio controllo al governo, garantendo aiuti alle milizie più fanatiche ed integraliste. Qui in Cirenaica sono stati uccisi molti alti ufficiali. Le risorse del petrolio sono state usate per finanziare la campagna di terrore che colpisce anche giornalisti e militanti dei diritti umani. Per questo bloccare il petrolio non è una perdita, ma un vantaggio.
Qual’ è il vostro progetto politico?
Chiediamo quello che vuole la maggioranza della gente. Vogliamo ripristinare l sistema federale garantito dalla costituzione del 1951 e la divisione tra Tripolitania, Cirenaica e Fezzan con la possibilità per queste tre ragioni di nominare ministeri autonomi per risolvere i propri problemi.
Volete tenervi tutto il petrolio?
No, vogliamo solo controllarne l’ utilizzo ed esser sicuri che i proventi vengano equamente divisi e non rubati come succede adesso.
Lei accusa l’Italia per non averla invitata alla conferenza di Roma. In futuro potreste vendere ad altri il petrolio dell’Italia?
Per ora le relazioni tra noi l’Italia e la vostra compagnia petrolifera, l’Eni, ci sembrano buone. Voi italiani siete i nostri fratelli e garantite un sacco di servizi Non vogliamo modificare i contratti esistenti con voi . Continuerete ad essere i benvenuti e ad occupare la posizione privilegiata di sempre. Ovviamente però potremmo decidere di vendere il petrolio anche ad altri. Questo lo abbiamo sempre detto e riguarda sia voi sia le altre compagnie presenti in Libia.
Il governo di Tripoli minaccia d’intervenire militarmente per cacciarvi dai pozzi…
Quale governo? Quello del primo ministro Ali Zeidan che mesi fa si è fatto rapire dai banditi?
Quel governo non riesce a proteggere neppure se stesso ….figuriamoci se fa paura a noi che siamo militarmente molto più forti.
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