L'austerità non paga: ecco perché volano Giappone e Ungheria

Ancora fermo il Pil di Italia e Francia costrette al rigore di Bruxelles. Decollano invece le economie dei Paesi che hanno scelto la strada opposta

Se preferite le favole ne girano per tutti i gusti. A dar retta alla più demenziale, l'economia italiana -in calo dello 0,5 per cento nell'ultimo trimestre nonostante le previsioni di crescita del governo- non è ripartita a causa degli scarsi consumi energetici registrati in un inverno troppo mite. Un po' come i piani quinquennali dell'Urss perennemente compromessi dalle «impreviste» gelate della Russia siberiana. Se invece di favole e propaganda preferite i fatti date un'occhiata agli altri dati europei pubblicati giovedì. Scorrendoli scoprirete una banale verità. Le uniche economie veramente in crescita, a parte quella di una Germania (+2,3%) favorita da una politica economica di Bruxelles disegnata a suo uso e consumo, sono quelle di Ungheria (3,2% di crescita) Regno Unito e Svezia (entrambe al 3,1%).

Funzionano e crescono insomma solo le economie estranee all'euro e ai diktat finanziari di Bruxelles e della Banca europea. Il dato più sconcertante è il 3,2 per cento di crescita dell'Ungheria. Il paese capace di produrre più ricchezza è quello guidato da Viktor Orban, un premier allergico agli euroburocrati e accusato di «revanscismo» per essersi opposto alle politiche di Bruxelles e aver rifiutato i diktat di banche e Fondo Monetario Internazionale.

Al di là dei ristretti orizzonti europei fanno altrettanto discutere i dati arrivati da Tokyo. Il Giappone di Shinzo Abe, un premier liquidato dagli amanti del politically correct come un pericoloso nazionalista sostenitore di politiche economiche fallimentari, registra una strabiliante crescita mettendo a segno un più 5,9 per cento del prodotto interno su base annua. Un dato che farebbe andare in brodo di giuggiole Angela Merkel e rivaleggia con i dati di crescita cinesi. Certo - come sottolineano i detrattori di Abe e delle sue ricette economiche - dietro quel dato c'è la corsa agli acquisti innescatasi nel primo trimestre per contrastare l'aumento dell'Iva dal 5 all'8 per cento fissato per il primo aprile. Ma il balzo in avanti di un Giappone condannato prima di Abe alla deflazione e alla recessione è qualcosa che va al di là dei semplici dati trimestrali influenzati dall'aumento dell'Iva. Per far ripartire l'economia Abe «il folle» ha fatto esattamente il contrario di quanto continuano a «consigliarci» da anni l'austera cancelliera Angela Merkel o l'algido «gran commis» dell'economia europea Olly Rehn.

Mentre loro c'imponevano una tetra parsimonia raccomandando il puntiglioso controllo del debito e inchiodandoci a quelle nuove «tavole della legge» chiamate «patto di stabilità economica», Abe ordinava alla banca centrale giapponese di stampare carta moneta e stimolare i consumi. Con quella semplice ricetta, peraltro usata anche da Obama per far ripartire l'economia americana, il Giappone cresce e riprende a produr ricchezza nonostante il peso di un debito pubblico che ha ormai sforato quota 9000mila miliardi di euro e a cui corrisponde un rapporto con il prodotto interno lordo superiore al 240 per cento.

Roba da far tremare i polsi agli euroburocrati sempre pronti a indicare il 60 per cento come la soglia della bancarotta e a condannare l'Italia per un rapporto tra un debito pubblico e prodotto interno lordo superiore al 120 per cento.

Eppure mentre il Giappone vola, e l'Ungheria rinasce, le regole europee imposte da Merkel e Olly Rehn trascinano negli abissi l'Italia. E chiunque s'attacchi a quel fatale zatterone battezzato «patto di stabilità».

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