Nkosazana Dlamini-Zuma: "Dopo Mandela ancora violenza e corruzione"

L'ex ministra di Madiba: "Il Sudafrica ha tanto da fare, ma voi avete gli stessi guai"

La chiamano l'austera. E, nonostante i coloratissimi abiti tradizionali Nkosazana Dlamini-Zuma, 63 anni, sudafricana di etnia Zulu, è davvero una donna tutta d'un pezzo, la Iron Lady d'Africa. È stata fino a due mesi fa ministro dell'Interno del governo di Jacob Zuma, suo ex marito, senza che nessuno si sia mai sognato di definirla una raccomandata. Ieri a Firenze è stata premiata da Palazzo Strozzi Foundation Usa quale donna-simbolo del Rinascimento dell'intero continente. Nelle stesse ore, da Pretoria, arrivava la notizia dell'improvviso ricovero di Nelson Mandela in ospedale.

Come sta Madiba?

«Nessuna novità di rilievo: ogni tanto, considerata la sua età, Mandela deve sottoporsi a dei ricoveri».

ll suo ricordo più significativo di Mandela?

«Non mi faccia parlare di ricordi proprio ora. Penso che questo premio sia anche suo, dopo tanti anni condivisi nei movimenti clandestini e al governo».

Mandela lascia in eredità un Sudafrica senza apartheid e in pieno boom economico, ma le ombre non mancano. La corruzione, ad esempio.

«È di certo un problema, e non credo solo africano. Analizzando i dati, la maggior parte della corruzione si esplica nei passaggi di denaro con l'estero: se l'Africa intende lottare davvero contro la corruzione deve farlo insieme all'Europa, all'America, alla Cina. Non ci si corrompe da soli».

Il mondo è stato scosso, lo scorso agosto, dalla reazione della polizia contro i minatori della miniera di Marikana in sciopero. La violenza è una delle piaghe del Sudafrica.

«È stato in fatto tragico e dovrà restare come lezione per il futuro. L'episodio di violenza è da condannare ma aggiungo che vanno analizzate sia le condizioni di lavoro dei minatori, pagati con salari inferiori ad altri Paesi, sia la pressione cui era sottoposta la polizia».

L'obiettivo prioritario del suo mandato.

«Il capitale principale dell'Africa è quello umano: il 60% della popolazione è giovane. L'Africa possiede il 60% delle terre arabili mondiali, oltre a risorse preziose come il petrolio. Abbiamo un grande potenziale, ma dobbiamo organizzarlo. Cominciando a rendere il nostro organismo, che il prossimo anno festeggerà il cinquantesimo compleanno, più efficiente».

L'economista Dambisa Moyo sostiene che gli aiuti umanitari siano business utili ai governi, a lavarsi la coscienza e a tenere in piedi le Ong. Utili a tutti, tranne che all'Africa. Che ne pensa?

«Guai se gli aiuti diventano l'unico presupposto per lo sviluppo del Continente! L'Africa si solleverà quando comincerà a fare investimenti reali: infrastrutture, telecomunicazioni, organizzazione dell'agricoltura, che da sussistenza deve imparare a seguire le esigenze del mercato. E per mercato intendo non solo quello africano, ma quello globale».

Il primo passo da compiere in questa direzione?

«Non c'è sviluppo senza sicurezza: questo è certo. Oggi sei dei dieci Paesi al mondo a maggior crescita economica sono africani e per noi l'Italia è un partner interessante».

Perché?

«Siete un Paese basato sulla piccola e media impresa: questo per noi è un ottimo modello imprenditoriale da seguire e con cui fare business».

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