Obama ricordi: il "no" alla guerra va detto in due

Il fatto che il mondo sia diviso fra coloro che "rinunciano" alla guerra e quelli che si armano e partono ci sta in questo periodo mettendo in un imbarazzo più grande del solito perché a esserne protagonista è Putin, il vicino-antagonista di sempre

Non è più vero affatto che gli Usa sono di Marte e gli europei di Venere. Siamo tutti figli di Venere: dieci anni dopo la pubblicazione del famoso studio, ovvero nel 2012, Robert Kagan proponendo una revisione del suo testo, ipotizzò che l'Europa si sarebbe mossa verso l'America. È curioso: di fatto invece è stato Obama a europeizzarsi, e oggi dunque tutto l'arco dei Paesi democratici rifiuta l'intervento militare come sommo anatema, sperando di disegnare un mondo senza violenza. Se leggiamo la Costituzione italiana, essa «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Una scelta ottima e anche ovvia: gli europei l'hanno imboccata sulla scia del carnaio della Seconda Guerra Mondiale, mentre Obama, molto dopo, ha proclamato dal più alto pennone del suo invincibile vascello che «la marea della guerra si sta ritirando», che il suo Paese non la farà più, che la strada di una presenza americana tesa a rassicurare gli alleati e a sostenere i principi cui l'America si ispira fa posto alla scelta di essere primus inter pares.

Se questo portasse alla pacificazione mondiale sarebbe ottimo, ma uno sguardo al mappamondo ci dice subito che tre quarti dell'orbe terracqueo non ha mai fatto nessuna scelta pacifista, che usa con facilità l'esercito, che bombarda senza scomporsi i nemici militari e civili per cause di confine, di etnia, di religione... e capita che il nemico possiamo essere noi stessi, in potenza o di fatto, oggi o domani. Il fatto che il mondo sia diviso fra coloro che «rinunciano» alla guerra e quelli che si armano e partono ci sta in questo periodo mettendo in un imbarazzo più grande del solito perché a esserne protagonista è Putin, il vicino-antagonista di sempre: poche ore dopo che Obama aveva dichiarato che «ci saranno dei costi» a un intervento militare, ha fatto votare dal suo parlamento l'approvazione alla spedizione, con inno nazionale cantato da tutti i parlamentari.

Noi euro-americani la guerra non la vogliamo fare, ma molti altri sì: sono almeno 60 i Paesi che in queste ore stanno utilizzando i loro eserciti fuori o dentro i confini per piegare gruppi antagonisti. Le ragioni sono infinite: una guerra viene proclamata ogni giorno, e si serve di missili, attentati, attacchi di confine; la Cina; il Pakistan e l'India; la Corea; la Siria; l'Egitto; la Turchia; svariati Paesi africani con scaramucce di confine o divisioni tribali stanno ora utilizzando armi ed eserciti mentre noi neghiamo diritto di esistenza a ciò che esiste. Allora, però, affrontiamo la guerra altrimenti: si può verificare il diritto della Russia di sedere nei G8, si può richiamare gli ambasciatori per consultazioni, si può agire sul terreno economico, si può fare della Nato uno strumento utile, che almeno faccia mostra della sua potenza costruita per salvaguardare i nostri amici democratici.

Si può fortificarla nei punti nevralgici, e gli Usa, se trovano un minimo di fiato, potrebbero almeno spostare le loro navi un po' più vicino alla Crimea, ed evitare i micidiali tagli al bilancio dell'esercito proprio in questi giorni. Quante linee rosse dovranno essere cancellate di nuovo prima che ci si renda conta che la guerra esiste, e spesso è anche contro di noi?

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