Quel leader senza esercito è il più ascoltato al mondo

Di fronte alla debolezza delle diplomazie internazionali fa breccia la pace «artigianale» di Francesco. La sua arma: avvicinare i lontani

Papa Francesco in Terrasanta
Papa Francesco in Terrasanta

È l'uomo più ascoltato del pianeta. Un'autorità mondiale (forse bisognerebbe usare l'articolo determinativo: l'autorità mondiale). Una figura accompagnata da grande rispetto, dotata del massimo ascendente.

Un leader capace di convincere i lontani ad avvicinarsi. Capace di persuadere personalità schierate su fronti opposti, sorde ad ogni invito al dialogo, irriducibilmente ostili, ad incontrarsi.

Ieri, al termine della messa celebrata nella piazza della Mangiatoia a Betlemme, papa Francesco ha detto: «In questo luogo, dove è nato il Principe della pace, desidero rivolgere un invito a lei, signor Presidente Mahmoud Abbas, e al signor Presidente Shimon Peres, ad elevare insieme con me un'intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera».

La «pace artigianale» che si costruisce con l'impegno di tutti i giorni di cui parlò durante la benedizione del giorno di Natale ha fatto breccia. Il presidente palestinese e leader dell'Olp e il presidente israeliano hanno accettato l'invito e l'incontro potrebbe avvenire «in tempi molto rapidi», come ha detto il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, prima della fine del mandato di Peres che scade nel mese di luglio.

Ciò che colpisce di questa iniziativa di Bergoglio sono la semplicità e l'immediatezza racchiuse in quell'espressione: «Offro la mia casa per ospitare...». Vuol dire: mi metto in gioco, mi spendo per questo scopo... Come si fa a lasciar cader un invito così? Papa Francesco si è profondamente immedesimato nel dramma di quella terra e di quei popoli. Si è fermato al muro di Betlemme in una sosta che «non era preparata» (padre Federico Lombardi), poggiando la fronte sulla barriera di cemento. Ha auspicato che «la soluzione di due Stati diventi realtà e non rimanga un sogno». Ha rinnovato l'appello già elevato da Benedetto XVI da quei luoghi: «Sia universalmente riconosciuto che lo Stato d'Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto ad una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente».

Come si fa a non accogliere una preghiera così disarmata e penetrante allo stesso tempo?
È questa la forza di Bergoglio, uomo umile e potente. Unica autorità mondiale riconosciuta, in un momento in cui la politica e le diplomazie internazionali manifestano tutta la loro debolezza. Obama ha deluso. Putin appare forte ma poco affidabile sul piano della democrazia. L'Europa è impalpabile. Ma più che quella delle diplomazie, l'arma di Francesco è la forza dell'essere. La forza della testimonianza, prima che della parola o della ragione. Un uomo vestito di bianco che si presenta senza blindature e apparati. Il cui magistero della pace si esprime attraverso gesti semplici, iniziative che non chiedono complesse decodifiche (forse con disappunto di qualche «iteologo»).

Accadde già nel settembre scorso, quando convocò i fedeli alla veglia di preghiera per la pace in Siria. In questo viaggio ha nuovamente levato la sua voce contro i massacri in quel Paese. “La vera pace non è un equilibrio tra forze contrarie», disse il 25 dicembre 2013.

«Non è una bella facciata, dietro alla quale ci sono contrasti e divisioni. La pace è un impegno di tutti i giorni, ma la pace è artigianale, che si porta avanti a partire dal dono di Dio, dalla sua grazia che ci ha dato in Gesù Cristo».

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