Un ingegnere italiano è stato rapito in Siria nella zona considerata una roccaforte del clan alawita che appoggia il presidente Bashar al Assad. Con Mario Belluomo, di San Gregorio comune in provincia di Catania, sono state sequestrate altre due persone, probabilmente tecnici russi. I principali sospettati sono i ribelli.
Il siciliano non trovava lavoro in Italia e pochi mesi fa ha scelto la via avventurosa dell'impiego nella Siria in preda alla guerra civile. Non è l'unico. Nel paese mediorientale ci sono ancora 4-500 italiani. In gran parte si tratta di residenti con la doppia cittadinanza. Però non mancano, secondo una fonte de il Giornale, i connazionali che cercano lavoro o inseguono vane speranze di far soldi facili e velocemente, anche se il rischio è altissimo. Spesso e volentieri neppure si registrano sul sito «Viaggiare sicuri» del Ministero degli Esteri, che sconsiglia vivamente di recarsi in Siria.
L'ingegnere è stato rapito nei giorni scorsi, ma la famiglia e la Farnesina l'hanno tenuto nascosto. Belluomo compirà 64 anni il primo gennaio ed è specializzato in elettrotecnica. Sposato con una farmacista ha due figli ventenni, un maschio e una femmina, che vivono in una palazzina di due piani. «È una famiglia tranquilla. Lo conosco come persona per bene - dice un vicino, Sergio Cosentino - Ogni tanto mi fermo a parlare con lui di lavoro. Sono rimasto scioccato dal rapimento. L'ultima volta l'ho visto in estate».
Le prime notizie indicavano che l'ingegnere italiano lavorasse per l'Hmisho, un grosso gruppo locale sorto nel 1988 con finanziamenti dell'Unione europea. A Latakya, la città sul Mediterraneo, che ha dato i natali ad Hafez al Assad, il padre dell'attuale presidente, il gruppo ha impiantato un'acciaieria dove avrebbe trovato lavoro Belluomo. Un dirigente dello stabilimento, contattato dall'Ansa, ha però smentito: «Da cinque anni la nostra azienda non si avvale di consulenti stranieri, né italiani, né di altra nazionalità».
Il mistero si infittisce e la Farnesina lo favorisce alzando la solita cortina fumogena. Belluomo sarebbe stato preso mentre si dirigeva verso Tartus, la città portuale dove ha sede una base navale russa, novanta chilometri più a sud di Latakya. A Tartus sembra che l'ingegnere vivesse in un albergo del posto.
L'area del sequestro, sulla costa mediterranea, è una roccaforte storica del regime. Latakya fu la «capitale» di uno stato autonomo alawita, appoggiato dai francesi, dal 1922 fino al 1994, quando è diventato parte integrante della Siria. La scorsa estate il re di Giordania, Abdullah, aveva dichiarato che Assad ha pronto «un piano B» nel caso perdesse il potere a Damasco. Gli alawiti si sarebbero arroccati proprio sulla costa mediterranea a Latakya e Tartus, come ultima ridotta.
Belluomo ha probabilmente percorso la strada costiera, ma l'entroterra è insicuro. A Est ci sono Homs, Hama, Idlib e più a nord Aleppo, epicentri del sanguinoso conflitto che dal febbraio 2011 ha mietuto 40mila morti. Tartus non è solo l'unico punto di appoggio dei russi in Mediterraneo fin dai tempi dell'Unione Sovietica. Nella base, ufficialmente logistica, c'è anche un centro di intelligence di Mosca. Se Belluomo è stato effettivamente rapito con due tecnici russi sarà Mosca a tenere i rapporti con le autorità siriane per risolvere il sequestro. Damasco ci vede come fumo negli occhi dopo il nostro riconoscimento dell'opposizione armata ad Assad. Se sono stati i ribelli, sempre a caccia di stranieri che lavorano nelle zone governative, saranno i servizi italiani a prendere contatti con l'intricata galassia delle fazioni anti regime.
Shady Hamadi, milanese che combatte Assad, ha dichiarato che «sono stati i miliziani» del presidente a rapire l'italiano «per screditare l'opposizione siriana». Forse è solo propaganda, ma il giallo si infittisce.
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