I matrimoni nati da colpi di fulmine, e financo da innamoramenti, dioguardi, sono affari da cameriere: bagatelle che riguardano il popolo minuto. Nel rarefatto mondo dell’aristocrazia non sono necessari. Al contrario: sono temuti, se non proprio aborriti. Nulla è infatti più effimero, più incerto, più temerario di un matrimonio nato da una storia d’amore. I Te Deum che accompagnano le nozze di teste coronate glorificano, certificandoli, i destini di due casati; non necessariamente i sentimenti di due persone.
Così era, prima che il vento della democrazia scompigliasse i costumi di un mondo che affondava le sue certezze nella Tradizione.
Per Juan Carlos di Borbone e Sofia di Grecia, che domani celebreranno le loro nozze d’oro («un contratto che dura da cinquant’anni», ha titolato a sangue freddo il Paìs) la tradizione venne rispettata in pieno. Merito di Federica di Grecia, la madre di lei, che nel 1954, impegnata nella ricerca di un fidanzato di rango per quella sua figlia così perbene, ma così scialbetta, organizzò una crociera nell’Egeo invitandovi gli scapoli più appetibili dell’epoca. Il Borbone era fra quelli imbarcati.
Sicché parlare di «celebrazione», visto poi che la coppia ha deciso di non festeggiare in alcun modo, né pubblico né privato, un evento che lascia freddi entrambi, pare un tantino fuori luogo.
Non è un gran momento, per i reali di Spagna. E siccome non è un gran momento neppure per la Spagna, inguaiata da una crisi economica tale che anche retrospettivamente non si capiscono i sorrisi dell’ex premier socialista Zapatero (mai abbastanza corbellato da questo giornale) la ricorrenza rischia di essere salutata da un imbarazzante silenzio, se non da qualche fragorosa pernacchia.
Fresco reduce dallo scandalo innescato dal safari in Botswana (con tanto di foto filtrata sui giornali, dove lui, armato di fucile, lui presidente del Wwf! posa accanto alla carcassa di un elefante) don Juan deve sopportare in questi giorni anche lo sgradevole assalto di certa stampa che sempre meno velatamente accenna alla sua «tenera amicizia», come si diceva una volta, con la principessa tedesca Corinna Zu Sayn Wittgenstein, una trentina d’anni più giovane di lui, che va per i 74.
«Abdicazione», è il sostantivo che sempre più spesso ronza nelle orecchie dell’anziano ganimede. Perché anche questo aspetto: le 1500 amanti accreditategli dalla biografia di Pilar Eyre, cosa che in un Paese (sedicente) macho gli aveva procurato la considerazione e l’invidia di un mondo cattolicamente permissivo, gli viene ora rimproverato.
È che in tempi grami l’ostentazione, il lusso, le amanti, i safari a migliaia di euro al giorno, gli appannaggi milionari, mentre i disoccupati toccano quota sei milioni suscitano irritazione, quando non ira.
Fosse stata una coppia normale, Juan Carlos e Sofia di Grecia si sarebbero lasciati da un pezzo. Non si amavano. Ora quasi non si sopportano. Quando è rientrato dall’Africa per farsi operare all’anca, rotta durante il safari, Sofia ha aspettato un giorno intero prima di fargli visita (26 minuti: toccata e fuga) al capezzale.
È stata una buona madre, Sofia, e una regina molto professionale. Dal ruolo di sposa, forse lei stessa non si era aspettata granché. Per una donna della sua epoca (ha 73 anni) e della sua educazione, sopportare le scappatelle del marito faceva parte del gioco, purché il gioco restasse coperto da un certo riserbo. E poi, per una cattolica come lei, la parola divorzio non esiste. Quando sua figlia, l’infanta Elena, minacciò di separarsi dal marito Jaime de Marichalar, Sofia si oppose, ripetendole ciò che un giorno si sentì dire da sua suocera, donna Maria de las Mercedes: «Figlia mia, hay que aguantar (tieni duro). Abbiamo dei doveri».
Insomma, un panorama di mestizie. Aggravato, e non ce n’era bisogno, dallo scandalo finanziario in cui è naufragato il genero di don Juan, Inaki Urdangarin, duca di Palma di Maiorca e marito della Infanta Cristina, un leggerone accusato di sottrazione di fondi pubblici per 2,3 milioni di euro.
Così, Sofia prende le distanze, mentre il re, confuso e frastornato dagli
eventi, fratturato e anche un po’ sputtanato, vede la sua popolarità al minimo da quando salì al trono nel 1975. E tutto questo mentre dalla stampa, dalla tele, dal popolo, sale quel fastidioso ronzio: «Abdicazione...!».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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