La terza intifada che minaccia Israele

Il rapimento e l'uccisione dei tre studenti mostra come la pace si possa fare solo fra Stati

Gilad Shaarh, Naftali Frenkel e Eyal Yifrah
Gilad Shaarh, Naftali Frenkel e Eyal Yifrah

Il rapimento dei tre studenti del collegio religioso del villaggio di Kfar Etzion - una località a sud di Gerusalemme situata nel territorio stabilito dai morti e sepolti accordi diplomatici di Oslo (cioé sotto amministrazione palestinese ma dove Israele può intervenire per motivi di sicurezza) - dimostra secondo un noto scrittore israeliano che la pace non si può fare senza frontiere.

Non penso sia vero. La pace si può fare solo fra Stati, come dimostrano le paci fredde ma onorate fra Israele, l’Egitto e la Giordania. Cercare di concluderla con i non-stati é una illusione in cui da 20 e più anni si cullano i governi e almeno parte del pubblico israeliano. Non solo. Apre le porte al peggiore dei conflitti, quelli di gruppi - come l'ISIS (Califfato Islamico Siro Iracheno) - convinti di essere chiamati a realizzare la rivoluzione armata di Dio.

Tornando al rapimento dei tre ragazzi israeliani, si può dire che fa parte di una preannunciata terza intifada. Le precedenti furono quella detta "delle pietre" che Itzak Rabin soppresse con mezzi non unicamente letali e quella di al Qudts (Gerusalemme) soffocata da Sharon con mille e più morti da parte israeliana e un numero non precisato da parte palestinese. Questa nuova intifada sembra aver cambiato tattica e scopi. Il cambiamento più importante e più pericoloso per il futuro di Israele è che è stata pianificata e realizzata da arabi israeliani in un territorio di fatto sotto controllo israeliano. Il che significa mantere potenzialmente imprigionato nella violenza un intero popolo che in stragrande maggioranza vuole la pace, ma non può averla perché non ha uno stato palestinese con cui trattare.

Un altro possibile cambiamento determinante dei moventi di questa azione potrebbe essere:

a) l’accordo per un governo di Unione nazionale, fra il presidente palestinese Abu Mazen e Hamas a Gaza, morto al momento in cui é stato firmato, che di fatto schiacciava la presenza di Hamas in Cisgiordania;

b) l’oscuramento dell’attenzione internazionale della causa palestinese a causa della nuova attenzione dei media sulla crisi irachena;

c) il bisogno di elementi operativi di Hamas in Cisgiordania – sunniti – di farsi notare dall’emergente Califfato islamico che mette la riconquista di Gerusalemme e l’eliminazione di Israele fra i suoi scopi;

d) la possibilità di uno scambio di prigionieri come nel caso del Soldato Shalit (uno contro mille).

In questo senso il rapimento é fallito. Ma ha aperto la strada ad una difficilissima “calibrazione” della reazione israeliana che potrebbe portare alla distruzione di quel poco di autorità che il presidente palestinese ha ancora - ha denunciato il rapimento come il sindaco della città di Hevron dove vivono le famiglie dei rapitori -, specie nel corso del mese di Ramadan, in cui i palestinesi di Gaza e di Cisgiordania e Israele digiunano e si raccolgono in gruppi famigliari dall’alba al tramonto. Lo scontro con Hamas a Gaza – secondo Natanyahu mandatori del rapimento – diventa inevitabile.

E poiché le guerre o le offensive, si sa quando cominciano ma non quando finiscono, l’unica cosa certa in tutto il Medio oriente é di trovare una alternativa alla convinzione che si possa spegnere la violenza con altra violenza.

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