"Quanta invidia verso di me, ma non lascio l'uniforme"

Il carteggio tra Roberto Vannacci, neo eurodeputato leghista, e il nostro giornalista Fausto Biloslavo, dopo che quest'ultimo aveva invitato il generale "ad appendere la divisa al chiodo"

"Quanta invidia verso di me, ma non lascio l'uniforme"
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Caro Fausto,
anche io mi permetto il tu, considerata la nostra lunga frequentazione in posti e circostanze ben diverse dai set televisivi e dai salottini per opinionisti. Ci siamo conosciuti in mezzo alla polvere, al fango, ai proietti vaganti e a quelli ben indirizzati con tanto di raccomandata e, sinceramente, non pensavo che rientrassero nel novero dei tuoi interessi professionali e giornalistici le questioni afferenti alle opportunità personali di un alto Ufficiale, sebbene diventato in una manciata di mesi scrittore di grande successo e anche europarlamentare. Se volevi darmi un consiglio, infatti, bastava una telefonata, un whatsapp, una mail, tutte coordinate che hai già utilizzato in decine di occasioni in passato. Invece no. Una lettera aperta su uno dei maggiori quotidiani nazionali. E allora mi sovvengono le prime nozioni imparate quando in Bosnia lavoravo nella cellula Operazioni Psicologiche: «Ogni informazione resa pubblica ha lo scopo di modificare il comportamento della audience». Con tutta sincerità, non posso pensare che la audience fossi io, o solo io. Mi sono chiesto, allora, il perché di tale gesto e, con la schiettezza a volte fastidiosa che mi ha sempre contraddistinto, mi è venuta in mente la seguente intuizione, probabilmente frutto della mia sola fantasia: una lettera forse non scritta su commissione ma di compiacenza perché, dopo aver trascorso 37 anni con le stellette, posso intuire che per aver rapporti floridi con la Difesa se sei un giornalista conciliante hai gioco facile: ti vengono aperte le porte, hai i posti in prima fila, ricevi le notizie vergini e, volendo, riesci anche a essere embedded con la Task Force 45. Ma poco importa. Avrai le tue ragioni che non sta a me giudicare. Eppure da un giuliano come te non me l'aspettavo tutto questo conformismo, questa bacchettoneria, questo lisciapelo lusingante. Dello stesso tono anche la tua affermazione - perfettamente in linea con la soluzione di cattedra - secondo cui avrei dovuto andare in pensione prima di pubblicare Il mondo al contrario, quasi a negare ciò che la Costituzione, il codice dell'ordinamento militare e il principio di libera manifestazione del pensiero assicurano a tutti i cittadini, compresi quelli in uniforme.

Hai ragione, il coraggio vince. Ma quale coraggio? Quello di andare in pensione? Cumulando gli emolumenti con quelli da europarlamentare e magari dando ragione a quel parvenu televisivo che asseriva che quei calcoli me li stessi già facendo da tempo? Incursori si rimane per sempre, anche su questo hai ragione, e quindi imprevedibili, inaspettati, scomodi, fastidiosi, irritanti, fuori dagli schemi, non convenzionali, anormali, e come potrei rinunciare a questa prerogativa prendendo invece una decisione scontata? L'aspettativa può essere interrotta in qualsiasi momento, senza preavvisi, come un fulmine a ciel sereno, non ti sembra più questo un atteggiamento da ardito? Tanto da far tremare qualcuno, da non concedergli un calcolo scontato, da tenerlo sulle spine... Magari uno di quelli che tu sostieni viva la mia vicenda con «preoccupazione e fastidio». I chiodi, caro Fausto, continuerò ad usarli - magari immergendone prima la punta nello sterco di animale come facevano sul Carso - ma non per appenderci la mia uniforme.

E poi quali sarebbero quei molti, ancora sotto le armi, che vivono con «preoccupazione e fastidio» la mia figura? Dei miei soldati, dei miei uomini veramente speciali con i quali ho solcato decine di campi di battaglia non ne ho sentito uno esprimersi in tal modo. E neanche di quei tantissimi che incontro per le strade o nelle stazioni ferroviarie e che vestono le uniformi verdi, nere, azzurre, grigie e bianche e che mi dicono incessantemente «Comandante vada avanti, noi siamo tutti con lei». Forse ti riferisci ad alcuni, ai pochi e magari influenti. Forse a quelli dei piani alti, o agli incravattati ministeriali, o agli invidiosi, o agli ingessati, o ai patiti delle graduatorie, o a quelli a cui non piace il confronto, o ai grecati per anzianità o per richiamo, o agli «speciali» diventati tali a capelli già bianchi. Del prurito di questi, caro Fausto, rivendicando l'adagio dei miei predecessori arditi, «Me ne Frego!». Ieri era il 16 giugno Fausto... Ti dice nulla questa data? Mai stato giorno più indicato per far riecheggiare quest'ultima espressione.

La risposta di Fausto Biloslavo

Il generale Vannacci, da buon incursore, sa che la miglior difesa è l'attacco, ma esagera nella risposta al mio invito pubblicato dal Giornale, sull'abbandonare la divisa adesso che ha scelto la nuova battaglia al Parlamento europeo con mezzo milione di voti.

Non era un proiettile, ma un appello che al generale avevo già espresso fin dalla prima intervista proprio sul Giornale, dopo l'uscita del Mondo al contrario, per dare spazio alla sua voce, quando tutti facevano a gara per impallinarlo con un plotone di esecuzione politico-mediatico. E non era ancora arrivato lo sdoganamento di Salvini.

Un motivo in più per capire che l'appello ad appendere la divisa al chiodo non fa parte di nessuna operazione Psyop o complotto, ma è solo un'opinione, un invito, da sottoporre al diretto interessato ai lettori e all'opinione pubblica. Una questione che non può rimanere «personale», dopo il caso Vannacci e la sua discesa in campo.

Sinceramente leggere nella replica che l'avrei fatto per «compiacenza, posti in prima fila, reportage embedded con la Task force 45» non mi fa arrabbiare, ma sorridere. Tutti sanno che sono il giornalista meno compiacente e più rompiscatole per il «sistema» Difesa perché voglio sempre andare in prima linea raccontando le nostre missioni senza infingimenti politicamente corretti. La leggenda racconta che quando chiamo gli Stati maggiori, paura e fastidio si mescolano nella domanda «e adesso cosa vuole?». Di solito i miei 40 anni di reportage di guerra sono sufficienti per ottenere udienza alla Difesa. E se non bastano faccio il diavolo a quattro, come è capitato per l'ultimo servizio sul Caio Duilio nel Mar Rosso, un imbarco strappato dopo mesi di braccio di ferro.

Proprio da giuliano me ne sono sempre fregato e non avrei mai accettato il «conformismo bacchettone» o di lisciare il pelo a qualcuno, che se mi avesse chiesto di lanciare l'appello al congedo, pur condividendolo, non lo avrei mai fatto tantomeno in pubblico. A tal punto che ho chiesto dettagli su aspettativa e congedo a un alto ufficiale non più in servizio, che conosce bene Vannacci ed è d'accordo con lui a non mollare la divisa.

Semplicemente sono convinto che le Forze armate vadano sempre tutelate e preservate nella loro terzietà, mai trascinate neanche per sbaglio o in maniera strumentale in beghe di parte. Per questo motivo il generale Vannacci, che adesso è diventato, legittimamente, un politico in servizio permanente effettivo, dovrebbe congedarsi senza sfruttare l'aspettativa come hanno fatto giornalisti qualunque suoi denigratori.

Non è una questione di diritti costituzionali o di calcolo economico (Vannacci è già milionario con la vendita del Mondo al contrario), ma di fare la cosa giusta e opportuna per le Forze armate, secondo la mia modesta opinione. E magari evitare ripicche e il gusto di levarsi sassolini nelle scarpe nei confronti di chi vorrebbe vedere il generale trascinato in catene a Gaeta.

Ancora di più, dopo la pubblicazione dell'invito ad appendere al chiodo la divisa, sono arrivati messaggi di condivisione da parte di alti ufficiali in servizio e no - non certo parrucconi o imboscati - ma pure da militari di ogni ordine e grado oltre a gente comune, che in diversi casi hanno votato per Vannacci. E vorrebbero che avesse le mani libere in politica, senza rischiare riflessi sulle Forze armate, pur continuando a chiamarlo «generale» o «comandante». Altri, ma sinceramente una minoranza, non sono d'accordo e vogliono che rimanga con le stellette.

La decisione spetta all'incursore del Mondo al contrario, che rimarrà sempre tale.

E proprio il 16 giugno, 106 anni dopo l'assalto degli arditi che sbaragliavano gli austriaci sul Col Moschin, durante la battaglia del Solstizio, dando il nome al glorioso 9° reggimento, da dove viene Vannacci, avrei preferito che il generale rompesse gli schemi «fregandosene» dell'aspettativa, delle giuste recriminazioni, delle ripicche. E annunciasse la decisione di appendere la divisa al chiodo per le stesse Forze armate, che ha servito con coraggio e onore.

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