Il marxismo, cioè la dottrina economica e politica di Marx, ricevette critiche e attacchi distruttivi già non molti anni dopo la morte del Maestro (avvenuta nel 1883). Nel 1899 Eduard Bernstein già stretto collaboratore di Engels ed eminente personalità della socialdemocrazia tedesca pubblicò un libro destinato ad avere una enorme eco nei movimenti socialisti del mondo intero: I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia. Esso costituiva la prima grande sfida revisionistica, lanciata da un seguace di Marx ed Engels, contro il marxismo. Di quest'ultimo Bernstein non risparmiava nulla: né l'analisi socio-economica del capitalismo e delle sue tendenze di sviluppo, né la teoria e il programma politici, né il metodo (la dialettica).
Bernstein rifiutava in primo luogo la previsione formulata nel Manifesto del Partito comunista e in altri scritti di Marx, secondo la quale la società capitalistica altamente sviluppata avrebbe determinato la scomparsa delle classi intermedie e si sarebbe divisa in due soli campi nemici: uno (relativamente ristretto di capitalisti) e uno (largamente maggioritario) di proletari. «L'acutizzazione dei rapporti sociali diceva Bernstein non si è compiuta nel modo raffigurato dal Manifesto. Nascondersi questo non solo è inutile, ma è una vera e propria follia. Il numero dei possidenti non è diminuito, bensì è aumentato. () Gli strati intermedi mutano il loro carattere ma non scompaiono dalla scala sociale». I tratti dello sviluppo capitalistico sui quali Bernstein più insisteva erano essenzialmente tre: in primo luogo la grandissima estensione della forma della società per azioni, che permetteva la creazione di un numero crescente di azionisti piccoli e medi; in secondo luogo, il fatto che in tutta una serie di branche industriali la grande azienda non assorbiva le piccole e medie aziende (le quali mostravano una indubbia vitalità), bensì si sviluppava convivendo con esse, sicché era illusorio attendersi la loro scomparsa; in terzo luogo, un notevole sviluppo delle classi intermedie, reso possibile dal grande aumento della produttività del lavoro. Da tutto ciò Bernstein ricavava che, «ben lungi dall'essersi semplificata rispetto a quella precedente, la struttura della società si è in larga misura graduata e differenziata, sia per quanto concerne il livello dei redditi, sia per quanto concerne le attività professionali».
È evidente che dopo questo colpo di ariete l'edificio economico-politico costruito da Marx crollava. Ma il pensiero critico avrebbe continuato a corrodere gli schemi marxiani, mostrandone l'inconsistenza e la falsità. Un acuto quadro di tutto ciò è offerto da Giancristiano Desiderio nel suo ultimo saggio: L'AntiMarx. Anatomia di un fallimento annunciato (edito da Rubbettino, pagg. 128, euro 14).
L'Autore mostra assai bene come la marxiana teoria del valore-lavoro sia antiscientifica. «Il valore dei beni prodotti dal lavoro ha scritto Marx è uguale alla quantità di lavoro socialmente necessaria per produrli». A ciò il grande economista Boem-Bawerk obietterà che nell'economia di un paese non rientrano soltanto le merci prodotte dal lavoro, ma hanno un ruolo fondamentale anche beni esistenti in natura come la terra, la legna degli alberi, le risorse idriche, i depositi di carbone, le cave di pietra, i giacimenti di petrolio, le acque minerali, le miniere d'oro... Avere escluso tutto ciò dall'analisi economica è un peccato mortale di metodo. Desiderio, a sua volta, insiste giustamente su un punto: che il lavoro di cui parla Marx non è il lavoro di cui parlano gli economisti, ma è il «lavoro alienato» dei Manoscritti economicofilosofici del 1844, o il «lavoro astratto» del Capitale. Cioè è un lavoro concepito in termini ideologici ricavati dalla filosofia di Hegel, cioè dal concetto hegeliano di alienazione. È questo lavoro ideologizzato che permette a Marx di enunciare concetti come il «plusvalore» (un non senso in economia), lo «sfruttamento», ecc. In realtà, dice giustamente Desiderio, il marxismo non è conoscenza e non è scienza, ma un ibrido: «Quando si crede di avere a che fare con la scienza si ha invece a che fare con l'ideologia, e quando si ritiene di trovarsi dinanzi l'ideologia si ha invece a che fare con descrizioni, osservazioni, ipotesi e analisi politiche. Proprio questo è il carattere fondamentale dell'opera di Marx: la sua natura pubblicistica o giornalistica e polemista».
Ma il pensiero di Marx non è solo fallace, è anche estremamente pericoloso.
Perché, come dice Desiderio, la dittatura del proletariato che, secondo il filosofo di Treviri, avrebbe dovuto essere provvisoria, il tempo necessario per traghettare gli uomini dal capitalismo al comunismo, diventa definitiva, e si trasforma in dittatura sul proletariato con tanto di capitalismo di Stato. Uno Stato onnipotente, pronto a calpestare le vite degli individui.Questo il messaggio salvifico di Marx e del marxismo: un messaggio che, ovunque si è realizzato, ha provocato sofferenze inaudite per i cittadini.
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