Alberto Vignali
da La Spezia
«Questa triste storia non si può chiudere con la morte di questa donna, ci sono responsabilità gravi di cui qualcuno deve rispondere»: è il sussurro che accompagna lo sgomento di medici e infermieri nei corridoi dell'ospedale spezzino e della direzione sanitaria.
Il giorno dopo la tragedia della falsa dottoressa spezzina, scoperta dopo aver passato sei mesi in servizio al 118, morta dopo essersi buttata dal quinto piano della sua abitazione, è segnato dal timore che tutta questa tragica storia si chiuda così.
Eppure ci sono troppi interrogativi che si intrecciano su questa vicenda, dubbi, mezze verità e inspiegabili silenzi che, a giudizio unanime, non si possono chiudere con la morte di Roberta Zampollini in un anonimo cortile.
La donna era stata assunta come medico del servizio d'emergenza del 118 senza essere in possesso della laurea, gli è bastata un'autocertificazione perché si trattava, come sostiene l'Asl spezzina, «solo» di un contratto a termine e quindi in questo casi non serve presentare attestazioni. La «dottoressa» ha così lavorato per l'intera estate e per parte dell'inverno sulle automediche del 118 spezzino, gestendo centinaia di emergenze, firmando certificati di morte, somministrando farmaci o praticando tecniche invasive. Eppure, anche se si è medici, per salire sulle automediche e quindi coordinare un team di soccorso direttamente sul campo, lontano dai conforti tecnici di un ospedale, lontano dal sostegno dei colleghi, serve un secondo titolo, un brevetto regionale che chiaramente lei non aveva. Ma c'era carenza di medici per coprire il superlavoro del servizio 118, delle tante postazioni estive, così qualcuno ha deciso che quel medico, che diceva di essersi laureata da quindici anni, di non avere esperienza pratica, di non avere più tanta sicurezza dopo i molti anni lontano dal servizio, potesse ugualmente stare nel posto più difficile e nel momento più stressante di un soccorso. Purtroppo oltre a non avere esperienza quello non era neppure un medico.
Il responsabile del Servizio 118 non si è però accorto di nulla in quei sei mesi, non si è reso conto che quel delegare eccessivamente il lavoro d'emergenza all'infermiere di turno (ed anche questo da solo è già un fatto grave perché, come dicono ora gli infermieri del 118, «il medico deve fare il suo e noi non possiamo fare il lavoro di due con competenze diverse»), neppure l'Asl si è resa conto di nulla, almeno sino a quando qualche anonimo impiegato di un ufficio previdenziale si è lamentato con l'azienda sanitaria. «Scusate - ha detto -, state pagando i contributi da sei mesi a una persona che non risulta in alcun albo professionale. Questi soldi a chi li dobbiamo versare?». Sarebbe bastato andare su internet, cliccare sull'albo dei medici e scoprire che questa «dottoressa» non c'era.
Ma intanto lei aveva finito il suo contratto ed ora, forse convinta che la realtà si fosse trasformata nella «bugia della sua vita», la «dottoressa» aveva chiesto anche il rinnovo del contratto.
Ora, come spiega il direttore sanitario Roberto Maruccelli, ci sarà anche un'inchiesta interna ad affiancare quella della magistratura, ma intanto conferma che non c'era stata alcuna lamentela sul lavoro di questa donna. Ma significa poco. Chi doveva lamentarsi e poi verso chi visto che nessun medico lavora con un altro medico durante i soccorsi e che il responsabile del reparto è lo stesso che aveva firmato l'assunzione e che ne aveva autorizzato il servizio extra ospedaliero? Forse ora troveranno da ridire i pazienti, forse lo faranno i parenti delle persone decedute durante i turni coordinati dalla «dottoressa», quelli che ora sanno che si sono fidati di un medico che non era un medico.
Resta il silenzio.
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