Sono sempre di più le armi (intese come farmaci e terapie) per combattere una delle malattie più invalidanti in età avanzata: il morbo di Alzheimer, la più comune forma di demenza degenerativa. La comunità scientifica ha già delineato le linee guida per i pazienti a cui sono destinati soprattutto due e promettenti nuovi farmaci che tra pochi mesi saranno disponibili ma non per tutti.
Quali sono i nuovi farmaci
Non più tardi di due settimane fa abbiamo parlato del Lecanemab, il nuovo anticorpo monoclonale per le fasi iniziali della malattia e approvato dall'Ema (Agenzia Europea per i Medicinali) che riuscirebbe a rallentare con efficacia l'avanzata dell'Alzheimer. Accanto a questo, tra pochi giorni sempre l'Ema dovrà dare il suo parere per l'eventuale ok al Donanemab, un altro anticorpo monoclonale simile che viene prodotto dall'azienda Ely Lilly. A questo punto, entro i primi mesi del 2025 i due nuovi medicinali dovrebbero essere disponibili anche in Europa e prescritti dagli specialisti laddove sarà possibile.
A chi sono destinati
È bene subito specificare che non tutti i pazienti con Alzheimer potranno sfruttare queste due cure. "In una prima fase parleremo di una platea candidabile alla terapia che non supererà il 10% dei pazienti con malattia di Alzheimer diagnosticata", ha spiegato al Corriere il prof. Marco Bozzali, associato di neurologia all’Università degli Studi di Torino e presidente di Sin-Dem, Associazione autonoma aderente alla Sin per le Demenze. L'ter normalmente prevedere che poco tempo dopo l'approvazione dell'Ema, anche la nostra Aifa (Agenzia italiana del farmaco) d'accordo con il ministero della Salute e dell'Iss (Istituto superiore di sanità) valutino l'immissione dei faramci anche nel mercato italiano.
Chi saranno gli esclusi
Ad esempio, il Lecanemab andrà a colpire le placche di beta amiloide che colpiscono il cervello bloccando l'avanzata dell'Alzheimer ma le controindicazioni sono significative per i pazienti che non rischiano patologie cerebrovascolari e cardiovascolari. Non potrà essere assunto anche dal 2% dei pazienti con Alzheimer che presentano una doppiaa copia del gene ApoE4 perché potrebbero andare incontro a rischi che superano i benefici: da vertigini e disturni visibi all'emorragia cerebrale nei casi più gravi. Secondo i risultati scientifici, non potranno beneficiare di questo trattamento nemmeno le persone che utilizzano anticoagulanti perché rimane molto elevato il rischio di piccole emorragie.
"In caso di ictus cerebrale sarà controindicato l’usuale trattamento di trombolisi, effettuato per dissolvere un trombo o un embolo, per il rischio più elevato di emorragie intercraniche. Nel momento in cui un paziente è candidabile – sottolinea il neurologo – è chiaro che per ogni paziente andrà fatto un bilancio tra i potenziali benefici di rallentare il decorso di una malattia neurodegenerativa che nel giro di due anni porta a demenza e i possibili rischi".
Come identificare i pazienti
Per questi motivi saranno gli specialisti, dopo attente analisi, a prescrivere o meno un dato farmaco. Ad esempio, per evitare qualsiasi tipo di rischio, ecco che molti pazienti dovranno sottoporsi a un'accurata diagnosi neurobiologica che dimostri l'accumulo di amiloidosi e che il paziente sia effettivamente colpito da Alzheimer e non da altre demenze.
"I biomarcatori plasmatici di cui tanto si parla per ora potranno essere utilizzati eventualmente come screening iniziale, per identificare i pazienti da sottoporre a esami più invasivi approfonditi e costosi come l’esame del liquor mediante puntura lombare o la PET cerebrale, che dimostrano la presenza di beta amiloide nel cervello".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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