Fattori di successo

La generazione "millennials" torna all'agricoltura. E il settore cresce sei volte di più della media del Paese

Fattori di successo

Sguardo al futuro e radici nel passato. Sono i nuovi imprenditori agricoli, anche se le loro storie spesso vengono da lontano. Italiani che scommettono tutto su un settore, quello agroalimentare, mosaico composto da un milione e seicentomila aziende che valgono quasi 300 miliardi di euro, il 15% del Pil nazionale. Nonostante il crollo dei prezzi e la minaccia della concorrenza sleale al made in Italy, l'agricoltura cresce a un ritmo sei volte superiore alla media del Paese (+3,8%). La benzina nel motore la mettono ogni giorno ottantamila «contadini 2.0» che hanno meno di 35 anni, 160mila se si allarga la forbice dai 40 anni in giù. Reinventano il mestiere dei propri genitori, nonni e bisnonni. Sfruttano le tecnologie più avanzate in nome della sostenibilità ambientale, introducono innovazioni di prodotto e di processo, racchiudono l'intera filiera all'interno della propria azienda (producono-trasformano-vendono, soprattutto all'estero), conoscono le regole del marketing e lo strumento dei social network, credono in un'etica del profitto e attraggono turisti.

La generazione dei millennials torna alla terra. Succede tra i vigneti «sperimentali» del Trentino, in Toscana dove si sviluppano nuove tecniche di coltivazione dei cereali, nella Sicilia che lotta per proteggere il tesoro degli agrumi, in Calabria dove si punta forte su colture alternative (come kiwi, avocado, bacche di Goji), e nelle masserie-laboratorio della Puglia in cui si difendono gli ulivi dall'incubo Xylella. Secondo Coldiretti i ventenni e trentenni lavoratori agricoli indipendenti, coaudivuanti familiari e soci di cooperative sono aumentati del 35% solo nel 2015, tanto che ormai un'azienda agricola su tre è fiorita nell'ultimo decennio. Più critici i dati di Confagricoltura, che registra un calo (-27% in 5 anni) delle imprese under 35. «Al di là dei numeri - dice Raffaele Maiorano, 33 anni, imprenditore calabrese dell'olio e presidente dei giovani di Confagricoltura (Anga), un aspetto è rilevante. Resistono e crescono quelle aziende che si sono accorpate diventando più solide e più ricche. Chi pensa che basti un fazzoletto di terra e una zappa per fare business commette un'ingenuità». Anche il senso da dare alla parola innovazione è controverso. Sulle oltre 5mila start up innovative censite dal ministero dello Sviluppo economico, quelle prettamente agricole sono appena una ventina. «Chi vuole investire nei campi - continua Maiorano - deve prima di tutto creare reti con gli altri imprenditori, elaborare precise strategie di insediamento, fare contabilità analitica, conoscere gli strumenti di finanziamento disponibili, dalle risorse locali ai fondi del Piano di sviluppo rurale. E studiare, informarsi, viaggiare». Da qui al 2020 sono in arrivo 21 miliardi di euro dall'Ue e dalle Regioni. Alle associazioni di categoria bussano ogni giorno migliaia di ragazzi pronti a mollare tutto per salire su un trattore. «Il consiglio è di non lanciarsi soltanto in base al finanziamento disponibile - suggerisce Matteo Ansanelli, segretario generale dell'Associazione giovani imprenditori agricoli (Agia-Cia) -. La terra scarseggia e costa, però bisogna avere un'idea di autosostenibilità fin dall'inizio. Quello che fa l'imprenditore non sono i soldi, ma una grande idea». Oggi quanto più si producono esclusivamente commodities, meno ricchezza si riesce a trattenere. Per questo la corsa è a differenziarsi, a investire nel biologico, a farsi largo nel mercato di riferimento con la forza di un brand e di un'identità originale, anzi esclusiva.

Dietro partite Iva e piani di investimento ci sono le ambizioni e le speranze di uomini «e di un numero sempre maggiore di donne», sottolinea Maria Letizia Gardoni, 27enne imprenditrice marchigiana nell'ortofrutta macrobiotica e numero uno di Coldiretti Giovani Impresa. «La campagna non discrimina, permette di conciliare il lavoro con la vita familiare, lo sforzo fisico ormai è ridotto al minimo, esaltando doti tipicamente femminili quali la capacità di relazionarsi coi clienti e di essere multitasking». La via agricola al terzo millennio passa dai brown jobs, per usare la definizione di Giuseppe Biazzo, ad dell'agenzia per il lavoro Orienta, illustrata nel saggio Nove mosse per il futuro. «Le previsioni parlano di 200mila nuovi posti di lavoro dalle campagne entro il 2030.

L'agricoltura torna centrale non solo per ragioni di opportunità occupazionale, ma soprattutto come conseguenza di un cambiamento culturale più ampio che riguarda stili di vita e di consumo». Le storie dei nuovi imprenditori agricoli, coi loro fattori di successo, dimostrano come sia ancora possibile raccogliere frutti dal bene più prezioso che l'Italia mette a disposizione: la terra.

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