Per favore chiamatelo Veltrodi

Il settimo punto del programma elettorale del Popolo della libertà, «Un piano straordinario di finanza pubblica», non è stato tra i più scelti. Altri sono i temi che infervorano gli animi. E in effetti sulla sicurezza e le tasse Veltroni somiglia più a Prodi, evolve a Veltrodi. Eppure questa comprensibile scelta, inevitabile in ogni partito di masse, ha un suo difetto. Rischia di mettere all'ultimo posto una questione, che invece merita di stare tra le prime. Giacché l'approccio di questo settimo punto alle questioni di finanza pubblica è in tutti i sensi straordinario. E l'aggettivo va preso alla lettera. Perché l'idea di una conversione del patrimonio statale, di usare gli attivi di Stato, enti locali per diminuire il debito è un atto di coraggio e novità di questa campagna elettorale del Popolo della libertà, e non solo.
Il povero Prodi, e il suo ministro dell'Economia scoppiato nel nulla, avevano troppo assecondato i comunisti falliti con loro al governo. Avevano accennato solo furtivi alle privatizzazioni, osando qualche affitto demaniale. Cedendo quindi all'idea perversa, perché comunista, secondo la quale la diminuzione dell'enorme patrimonio pubblico era un male: un vantaggio per parassiti e pescicani. Idea questa sciocca, giacché lascia invece proprio nelle mani della peggiore politica valori enormi. La massa si sdegna, è ossessa dalle pensioni dei parlamentari, ma non sa che si tratta di briciole. Cifre ben più sterminate sono invece quelle che la politica amministra come immobili, municipalizzate, partecipazioni e altri attivi. Gran parte degli investimenti pubblici finiscono lì a nutrire capitali efficienti solamente a dare poltrone e spese inutili. Dunque è un gran merito, soprattutto di pedagogia delle masse, quello del Popolo della libertà che l'ha inserito nel suo programma.
In una legislatura si potrebbe diminuire di molto il rapporto tra debito pubblico e Pil, e tagliare la spesa per interessi invece di coprirla con più tasse come ha fatto il povero Prodi. Ma soprattutto, e questa è la cosa forse più importante, questo uso dell'attivo pubblico a riduzione del debito implica una nuova idea di Stato. Non richiede che siano i pescicani ad approfittare di una svendita. Lascia aperta la possibilità di conversioni del debito anzi per i piccoli risparmiatori, e anzi concede che in parte il capitale diminuito resti pubblico. Gruppi di anziani, per fare un esempio potrebbero accordarsi a convertire i loro bot, nell'acquisto di palazzi statali o comunali, che potrebbero convertire a usi mutualistici come case per anziani e così via. E simili idee aiutano anche la redenzione della sinistra: dallo statalismo a nuove concezioni del bene pubblico. Ho digitato in internet il programma del partito democratico, stampato e atteso: 38 pagine, troppe. Tuttavia la voce finanza pubblica al punto b, dal titolo «Valorizzare l'attivo patrimoniale», è succinta.

E, con qualche condizionale certo di troppo, però conclude: «L'ingente attivo patrimoniale della Pubblica amministrazione può contribuire a ridurre più rapidamente il debito pubblico sotto il 90% del Pil». Bene. È l'opposto dell'imbarazzante Padoa-Schioppa pensiero. Ed è pertanto già successo importante dell'idee di sussidiarietà, della distinzione tra statale e pubblico, e dell'anima migliore del centrodestra.

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