Parlerò di Ferrara - la mia città, dove sono nato - che è il luogo del «pane migliore del mondo». Di certo nel meridione d'Italia il pane è altrettanto importante, magari anche più buono, però l'invenzione e la fantasia del pane ferrarese non hanno uguali. E non sono io a testimoniarlo, ma la storia della letteratura dell'arte.
In una pagina celebre di Memorie della mia vita di Giorgio de Chirico (ora in una nuova edizione presso La nave di Teseo) leggo: «L'aspetto di Ferrara, una delle città più belle d'Italia, mi aveva colpito. Ma quello che mi colpì soprattutto e mi ispirò nel lato metafisico nel quale lavoravo allora erano certi aspetti di interni ferraresi, certe vetrine, certe botteghe, certe abitazioni, certi quartieri, come l'antico Ghetto, ove si trovavano dei dolci e dei biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane. A tale periodo appartengono i quadri detti Interni metafisici che io poi, con alcune varianti, continuai a dipingere e dipingo tuttora».
Il primo, autentico periodo metafisico di Giorgio de Chirico si estende dal 1913 al 1919, prima a Torino e poi, dal '15 al '19, a Ferrara, le cui «strade, larghe come fiumane, che conducono all'infinito chi va solo col suo pensiero ardente» (Gabriele d'Annunzio), destarono evidentemente la meraviglia del «Pictor Optimus». Poi, per divertimento, egli replicherà i dipinti metafisici negli anni Quaranta, Cinquanta, Sessanta, datandoli 1915/16. Uno dei quadri più celebri in cui è ritratto il pane ferrarese, comunque, è del 1916, e si intitola Il saluto dell'amico lontano, in cui, oltre alla «coppia ferrarese», appare anche il biscotto «Krumiro». È il mercante Paul Guillaume l'amico dal quale il pittore si sente lontano, e al quale idealmente invia il dipinto a Parigi.
Nello stesso momento in cui Giorgio de Chirico, per non andare in guerra, arriva a Ferrara, nell'ospedale psichiatrico di Aguscello, dunque nel 1915, un grande e mai sufficientemente ricordato poeta, Corrado Govoni, nato a Tamara, non lontano da Ro Ferrarese, dove avevano casa i miei genitori, sempre nella provincia di Ferrara, scrive in Casa paterna: «Il forno, quando si faceva il pane, mandava un bagliore d'aurora contro il cielo, formicolante di stelle; si destava all'improvviso la fornaia, addormentata con la pala in mano; sbirciava dentro: oh, miracolo! Vedeva tutta l'immensa bocca, piena degli anelli d'oro, odoroso delle ciambelle. Si diffondeva un'aria di domenica». Una poesia del pane.
Ho scritto in apertura «il pane migliore del mondo», e a ragione, non personale, ma letteraria. L'aura del pane ferrarese si ritrova ne Il mulino del Po di Riccardo Bacchelli, che scrive in un inciso: «Il luogo dove si fece sempre il miglior pane del mondo, ch'è il ferrarese...». Bacchelli ritorna alle ciupete (coppie) ferraresi in un articolo sul Corriere della Sera il 9 novembre 1958: «Il pane ferrarese è un capolavoro di eleganza, di ingegnosità e di sapore che allieta l'occhio e persuade il gusto».
Tornando alla pittura, nella sala dell'Arengo in Palazzo del Comune, Achille Funi e Felicita Frai, illustrando l'Orlando furioso fra il 1934 e il 1938, hanno dipinto, dopo quelle memorabili di Giorgio de Chirico, due inconfondibili coppiette. Di questo pane, nonostante sia entrato nella letteratura e nella pittura, non conosciamo l'origine esatta, in special modo riguardo alla forma a coppietta, con i curnet o crustin (crostini) che, dobbiamo supporre, vista la sensualità dei ferraresi, celebrata anche da de Chirico nelle già citate Memorie, siano un riferimento ulteriore alla «coppia», e all'erotismo.
In una norma degli Statuta Ferrariae del 1278 si legge: «Ordiniamo che i fornai siano obbligati a fare pani che abbiano orletti e che non si abbassino quando cuociono». Sul finire del XIII e l'inizio del XIV secolo si introducono nuove raffinatezze perché il pane abbia un aspetto ancor più aggraziato. Per trovare notizie più certe del pane ferrarese nella forma ritorta, dobbiamo aspettare il carnevale del 1536. In una cena in onore del Duca di Ferrara, fu presentato e descritto appunto un pane ritorto dal celebre cuoco di corte, Cristoforo da Messisbugo, nel suo Libro novo, «nel qual s'insegna à far d'ogni sorte di vivanda secondo la diversità de i tempi, cosi di carne come di pesce. Et il modo d'ordinar banchetti, apparecchiar tavole, fornir palazzi, et ornar camere...». Nel 1791, lo storico Antonio Frizzi, nelle Memorie per la Storia di Ferrara loda la raffinatezza del pane ferrarese, unico per la forma e per i tipi di farina che venivano impiegati.
Ferrara si identifica nel suo pane, in quel profumo, in quel tepore rassicurante, in quel fragore croccante, con la crosta esterna e la mollica interna, duro e morbido. Strutturato come un'architettura, un incrocio di colonne tortili, plasmato come una terracotta, controcanto dei rilievi di cotto sui cornicioni. Appaiono più semplificati, come blocchi di pietra o sassi, i pani, pur fragranti e profumati, di altri borghi e contrade d'Italia.
Ad esclusione della Sicilia, dove i pani di San Giuseppe a Salemi sono vere e proprie sculture che si inerpicano su motivi decorativi, fiori e frutti, modellati in pietra tenera, emulando il barocco di Noto o di Ragusa Ibla. E gli archi di pane di San Biagio Platani, con le forme di pane trattate come rilievi policromi, di grande effetto, a scandire la contrapposizione delle confraternite dei Madunnara e dei Signurara, devote l'una alla Madonna e l'altra a Gesù Cristo. La parte più importante è la fantasia architettonica, sono gli archi centrali sotto i quali, in un ludibrio di sculture fatte di forme di pane, la domenica di Pasqua avviene l'incontro tra Gesù risorto e la Madonna.
Il significato religioso degli archi di Pasqua di San Biagio è molto evidente, mentre il pane di Ferrara è solo terreno, profano, immanente, fatto di coppie e corna, emblema del desiderio, del bisogno, del gioco. Non rappresenta che se stesso, è dell'uomo prima che di Dio. Celebra l'uomo, prima che Dio.Non avrai altro pane.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.