«Non chiamarmi Vitello». Tradotto così, il titolo spagnolo del documentario Netflix, No me llame Ternera, fa quasi tenerezza. Ma «Ternera» sta per Josu Ternera, ossia il soprannome di José Antonio Urrutikoetxea, il capo dell'Eta negli anni più sanguinari, quando l'organizzazione terroristica voleva imporre la sua idea di indipendentismo dei Paesi Baschi con le autobombe e i morti innocenti in giro per la Spagna. Bombe come quella esplosa nel 1987 a Saragozza davanti a una caserma della Guardia Civil che provocò la morte di tre militari e di otto loro familiari, tra cui cinque bambini, e il ferimento di 88 persone.
Ora il documentario No me llame Ternera di Jordi Évole e Màrius Sánchez (gli stessi autori di Amén. Francisco responde, intervista al Papa disponibile su Disney+), con un'intervista esclusiva a Josu Ternera, verrà presentato come film di apertura della sezione «Made in Spain» del prestigioso Festival de San Sebastián, la cui edizione numero 71 apre domani. Una scelta che ha provocato una dura presa di posizione delle vittime dell'organizzazione terroristica Eta che, con una lettera firmata da 514 personalità, tra le quali il filosofo Fernando Savater e l'autore di Patria (edito da Guanda), Fernando Aramburu, ha chiesto al festival di ritirare il film, Secondo loro «fa parte del processo di sbianchettamento dell'Eta che pone allo stesso livello assassini e complici, vittime e resistenti, banalizzando crimini gravissimi per i quali Josu Ternera, ancora fuggitivo dalla giustizia, affronta un carico penale di 2354 anni di carcere». Ma il direttore di San Sebastián, José Luis Rebordinos, ha risposto dicendo che il film «bisogna vederlo prima e criticarlo poi, come hanno fatto alcune vittime dell'Eta che hanno riconosciuto che non c'è alcun sbianchettamento, anzi, anche perché si apre e si chiude con la testimonianza di una vittima dell'organizzazione terrorista».
Curiosamente nel 1979, allo stesso festival di San Sebastián, ufficialmente per un problema della copia, saltò la proiezione di Ogro di Gillo Pontecorvo che racconta del famoso attentato dell'Eta in cui venne assassinato Luis Carrero Blanco, capo del Governo sotto Francisco Franco, la cui autovettura fu fatta saltare in aria grazie a una parte degli 8500 chili di dinamite rubati nel 1973 da alcuni militanti dell'organizzazione terroristica, tra i quali c'era Josu Ternera che compirà 73 anni la notte del prossimo Natale.
I firmatari della lettera contro il documentario hanno anche chiesto l'intervento del tribunale dell'Audiencia Nacional che però ha fatto sapere di non poter procedere con una censura preventiva. Che è, ovviamente, un principio sacrosanto, ma forse ciò che le vittime dell'Eta stanno cercando di dire è che è ancora troppo presto per mettere una pietra sopra il tantissimo sangue - il macabro conteggio riporta più di 800 vittime - che ha coperto la Spagna in tanti anni. Probabilmente di questo si parlerà anche alla tavola rotonda «Memoria europea delle vittime. Terrorismo e criminalità» organizzata in Spagna e in Italia in programma la mattina del 29 settembre a Roma, presso la sede di Europa Experience-David Sassoli.
Anche perché la figura di Josu Ternera è quella classica che sembra far girare il mondo al contrario. Perché è riuscito a farsi eleggere nel 1998 come deputato del Parlamento Basco per Euskal Herritarrok, partito poi messo fuorilegge, e proprio per questo ha sempre respinto le accuse, dicendo che è tutto un attacco alla sua attività politica.
E poi perché è stato grazie a lui che si è arrivati allo scioglimento dell'Eta nel 2018, un anno prima dell'arresto in Francia, dove è ancora sotto processo, ricevendo anche la solidarietà da centinaia di intellettuali dalla firma facile - tra gli altri Noam Chomsky, Toni Negri, Slavoj iek e Ken Loach - che temevano per la sua salute in carcere durante la pandemia. E gli altri detenuti semplici? Come sempre due pesi e due misure quando si parla di criminali mossi da un'ideologia, anche se terroristica.
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