I concetti di guerra e di pace, al contrario di quanto potrebbe sembrare sono molto labili. Le guerre hanno una temperatura di innesco e di mantenimento. Ci sono quelle fredde e quelle al calor bianco. Tra di loro si assomigliano poco. E la pace, molto meno spesso declinata al plurale, forse nel tentativo di darle un poco di forza, è per lo più come uno strato di cenere posato, per distruzione avvenuta, su tensioni molto antiche che continuano a covare sino a che non si genera lo spazio per un'altra fiammata bellica.
La riflessione su questo equilibrio instabile e fuggevole potrebbe essere, riducendo la complessità all'osso, lo scheletro portante del nuovo saggio di Paolo Mieli appena arrivato in libreria per i tipi di Rizzoli: Fiamme dal passato. Dalle braci del Novecento alle guerre di oggi (pagg. 312, euro 18,50). Mieli, infatti, apre questa disamina combustibile della storia contemporanea con la favilla che si è riaccesa in Ucraina il 24 febbraio 2022 e poi è «divampata in un incendio di proporzioni immani». Come è logico la chiude con l'altra combustione geopolitica fuori controllo, quella di Gaza, innescata il 7 ottobre 2023 dal feroce attacco a sorpresa di Hamas contro Israele. Attacco nel corso del quale furono massacrati e rapiti cittadini israeliani inermi, e da cui è partita la reazione dello Stato ebraico, con tutte le terribili conseguenze del caso, anche su altrettanto inermi civili palestinesi (a loro modo sempre ostaggi di Hamas). La molla del ragionamento di Mieli, che mira a creare un mosaico interpretativo di ampio respiro, è che i due avvenimenti siano disconnessi fra di loro soltanto in apparenza. Tutta una serie di filiere geopolitiche che si dipanano dalla Russia all'Iran ci hanno «obbligati a constatare che non si trattava di conflitti ai margini dell'Europa o del Medio Oriente. Ma della potenziale messa in mora dell'intero ordine mondiale». Le opinioni pubbliche occidentali, se non le eminenze della geopolitica, lo hanno capito in ritardo. Forse anche perché accecate da teorie sulla fine della Storia o da sogni di globalizzazioni fatte molto di economia e poco di valori condivisi.
Mieli, anche riprendendo e rielaborando i suoi molti articoli per Il Corriere, va a scavare sotto la cenere per trovare la brace in tre sezioni: il passato fascista, il passato comunista e quella zona grigia della geopolitica che vive in un limbo tra passato e presente.
Una dei punti di forza del libro, non sempre organico essendo mosso da una curiosità culturale onnivora, è quello di essere anche una summa dello stato dell'arte di molta ricerca storica. Mieli per fortuna non fa, come molti studiosi, la monade. Rimanda e lega ad una miriade di autori. Ad esempio Mieli ripercorre il processo di Norimberga, mettendone in rilievo limiti e incongruenze, prendendo spunto dal bellissimo Il castello degli scrittori, il libro di Uwe Neumahr pubblicato in Italia da Marsilio, che racconta la storia del gruppo di maestri della letteratura e del giornalismo, da Dos Passos a Rebecca West, inviati ad assistere al processo ai gerarchi nazisti e che dovettero prendere atto di tutte le difficoltà giuridiche e umane nel giudicare dei vinti, per quanto vinti portatori di una ideologia aberrante. A partire da Norimberga si possono capire molte delle difficoltà del presente. Tra le pagine più interessanti anche il capitoletto intitolato: «Così smettemmo di pensare la guerra». Mieli prende le mosse da un lavoro dello storico militare Marco Mondini, Il ritorno della guerra (Il Mulino). Mondini racconta la svolta antimilitarista occidentale iniziata alla soglia degli anni Sessanta. Una svolta tale che oggi siamo «figli di una cultura demilitarizzata che... ha rimosso progressivamente armi e battaglie dall'orizzonte del visibile e del pensabile». Risultato? A lungo non abbiamo più considerato la guerra, seppure come extrema ratio, nemmeno per difendere i nostri valori fondamentali. Allo stesso tempo abbiamo messo all'indice anche la «deterrenza», che postula, con buoni precedenti storici, che dotarsi di un efficace strumento militare serve proprio al mantenimento della pace. «Finché scrive Mieli non è arrivato il risveglio. Di soprassalto, nel giorno dell'aggressione russa all'Ucraina... Seguito da un secondo risveglio con l'attacco di Hamas al confine di Gaza... Da allora... ci stiamo a malincuore e lentamente riabituando a chiamare le imprese militari con il loro vero nome... Il che è riconducibile alla nostalgia per il meraviglioso assopimento degli ultimi anni».
Degli assopimenti dell'Occidente e dei suoi sonnambulismi, coltivati a partire da decenni di pace atomica e terzomondismo di maniera si trova traccia anche nell'ultimo capitolo, «Fiamme su Gaza». Ci sono le idiosincrasie della sinistra italiana ma non solo di quella.
Perché tutti condannano la Shoah ma il diritto di esistere di Israele è molto meno sentire comune. Si ragiona solo stando nella propria bolla ideologica. Mieli senza ammannire inutili ricette quella bolla la frantuma, anche solo per il quantitativo di dati e di opinioni che mette a confronto.
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