La finanza può dirsi sostenibile non solo se punta con le sue dinamiche a promuovere la tutela dell'ambiente ma anche se promuove uno stile di vita sociale e valori più profondi della semplice ricerca del profitto. Questa la sfida che i teorizzatori delle forme più avanzate di finanza di questo tipo e di coloro che provano a leggere le sfide del settore alla luce di valori morali come quelli della dottrina sociale della Chiesa o della religione islamica. Un esempio di applicazione di "sostenibilità" alla finanza è dato, in questi ultimi tempi, dalla lotta di molte imprese e istituzioni al contrasto alla piaga dello sfruttamento del lavoro e delle nuove schiavitù.
La schiavitù moderna e lo sfruttamento del lavoro sono l’antitesi della giustizia sociale e dello sviluppo sostenibile. Le stime globali sui dati del 2021 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) mostrano che, ogni giorno, ci sono circa 50 milioni di persone in situazioni di schiavitù moderna, costrette a lavorare contro la loro volontà, o in situazione di matrimonio forzato. Parliamo di un numero di persone superiori alla popolazione di Spagna e Portogallo messe assieme, un essere umano ogni centocinquanta che vivono sulla Terra. Le stime indicano inoltre che le situazioni di schiavitù moderna non sono transitorie: la condizione di lavoro forzato può durare per anni e, nella maggior parte dei casi, il matrimonio forzato può costituire una condanna a vita. "Le stime globali del 2021", nota l'Ilo nel report, "mostrano che milioni di uomini, donne e bambini sono stati costretti a lavorare o a sposarsi nel periodo successivo alla pubblicazione delle stime globali pubblicate nel 2017". Con l’adozione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), la comunità globale si è impegnata a porre fine alla schiavitù moderna dei bambini entro il 2025, e alla schiavitù moderna in tutte le sue forme entro il 2030 (Obiettivo 8.7).
Questo rapporto accende i riflettori sulla portata della sfida che la comunità globale deve affrontare per raggiungere questi traguardi. In questo campo, la finanza sostenibile può dare una mano concreta aiutando a risolvere, tra queste piaghe, quella del lavoro forzato. Ogni giorno, riporta l'Ilo, sono circa 27,6 milioni le persone in condizioni di lavoro forzato, ossia in media 35 persone in condizioni di lavoro forzato ogni diecimila abitanti a livello mondiale. Le donne e le ragazze rappresentano una quota importante, 11,8 milioni di persone, del totale dei lavoratori costretti in lavoro forzato. Di tutti i lavoratori in condizioni di lavoro forzato, oltre 3,3 milioni sono bambini. E la cosa più grave, in quest'ottica, è il fatto che il lavoro forzato costituisca una piaga a livello globale, a prescindere dalla ricchezza di un Paese. Più della metà del lavoro forzato si concentra infatti nei Paesi a reddito medio-alto o alto.
L'orientamento degli investimenti finanziari può contribuire ad alleviare questa piaga imponendo scrutini crescenti sulle catene di produzione e distribuzione dei beni, andando a verificare laddove esempi di prodottii a basso costo incorporino sfruttamenti di vario tipo del fattore lavoro e, in un contesto di dispersione globale dei commerci e delle reti produttive, si crei un rapporto più responsabile tra aziende e filiali locali nei contesti più a rischio per lo sfruttamento del lavoro.
Molte aziende finanziarie promuovono un confronto diretto con i gestori delle filiere produttive globali per motivare le aziende a valutare i rischi della schiavitù moderna e dello sfruttamento del lavoro nelle filiali più remote e, soprattutto, nei contesti in cui i rapporti produttivi sono subappaltati a attori locali. Come altri fattori che influenzano il rating Esg (ambientali, sociali e di governance) di un'azienda, l'esposizione di un gruppo a dinamiche di sfruttamento del lavoro comporta rischi finanziari associati ad aspetti di marchio e reputazione, ma anche, a cascata, problematiche legali e boicottaggi da parte dei clienti. La lotta allo sfruttamento del lavoro è ovviamente un imperativo morale ma è anche, a ben guardare, la scelta più lungimirante e efficiente sul piano economico.
Michelle Dunstan, Chief Responsibility Officer e Portfolio Manager Global ESG Improvers Strategy di AllianceBernstein, invita a sconfiggere sul campo le nuove schiavitù. Lo sfruttamento del lavoro, argomenta, "è un male sociale e pervasivo: basti pensare a quanto sia facile per il consumatore-tipo entrare in contatto con prodotti o realtà legati al lavoro forzato" o che incorporano il suo sfruttamento, e di conseguenza a "come le abitudini di acquisto possano favorirlo o contrastarlo. La schiavitù moderna non risparmia neppure le catene di approvvigionamento industriali globali, tra cui il trasporto marittimo, l'edilizia e l'industria mineraria. A tal proposito, gli investitori non dovrebbero limitarsi a segnalare i rischi legati a tali fenomeni, ma dovrebbero combattere per ridurli: non solo perché è la cosa giusta da fare, ma anche perché studiare i rischi e impegnarsi proattivamente con le aziende può portare a risultati di investimento migliori". Casi virtuosi segnalati da AllianceBernstein sono in tal senso presenti sulla scia del dialogo tra investitori e aziende. Tra queste Nestlé, che ha migliorato la tracciabilità delle materie prime delle categorie prioritarie, portandola al 76% del volume totale, e l'approvvigionamento responsabile di tali materie al 70%. Stesso discorso per la sensibilità di Illy in Italia. Ma la norma fatica a diffondersi e compito della finanza dovrà essere proprio la promozione e l'engagement crescente delle aziende nel mettere la tutela del lavoro, tema di importanza paragonabile a quello ambientale, in cima alle strategie di sostenibilità.
Governare la direzione degli investimenti significa far sì che siano condizionati anche i loro sbocchi. E rifiutarsi di incentivare il lavoro forzato può essere un passo decisivo per rendere sostenibili fino in fondo gli investimenti delle major finanziarie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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