La fine di un’inchiesta sbagliata

Filippo Pappalardi è stato privato della libertà personale, della dignità, dell'onore e dell'equilibrio psichico su richiesta e in seguito all'attività investigativa di uomini che rappresentano lo Stato e il Popolo: magistrati inquirenti e investigatori di polizia giudiziaria. Difatti, dopo una lunga attività investigativa e di sospetti - espletata in nome e per conto del Popolo italiano e con i poteri dal Popolo delegati - gli inquirenti hanno ritenuto che Filippo Pappalardi fosse l'assassino di Ciccio e Tore
1) Perché il loro ragionamento basato sulla logica dell'esclusione "Chi se non lui?» li portava a dette conclusioni.
2) Perché la consequenzialità e i presupposti delle loro analisi investigative criminali e giudiziarie li facevano concludere così. Il sistema-apparato investigativo ha elaborato una teoria del crimine - alias impianto accusatorio - che accusava Pappalardi di aver ucciso con percosse (ed altro) i propri figli a) in tempi, (b) con modi, (c) per movente, (d) in luoghi, (e) con scopi primari, (f) in contesti precisi: un insieme accusatorio che, invece, nulla ha a che vedere con l'orrida realtà dell'allucinante morte dei due bambini così come la possiamo ricostruire con i dati a disposizione.

L'impianto accusatorio ha presunto che Pappalardi li avrebbe uccisi la sera del 5 giugno 2006 in seguito alla perdita del controllo, con uno stato psichico alterato dall'ira, con percosse sino all'occultamento dei cadaveri, senza però escludere il lancio finale dei bambini nel vuoto, in luoghi lontani dal centro cittadino. L'impianto accusatorio ha ipotizzato uno scontro infrafamiliare del violento "padre-padrone" contro i due impauriti figlioletti, un'escalation di violenza terminata quella sera stessa e seguita da un'abilissima, fredda, scientifica opera di depistaggio, di simulazione e di inquinamento delle indagini. Tutto sbagliato, perché le due piccole e innocenti vittime sarebbero morte senza aver subito percosse. Per il momento le evidenze medico legali, scientifiche, investigative, criminalistiche, criminologiche e logiche ci dicono che si tratta di disgrazia.

Ed anche l'analisi della scena del crimine, delle cronologie temporali, delle lesioni, delle tracce di sangue, delle tracce sugli abiti, delle tracce degli spostamenti e di trascinamento dei due poveri bambini all'interno della maledetta scena della morte, ci inducono a ritenere che Pappalardi non c'entra proprio un bel nulla con la morte e/o la caduta dei bambini, che l'impianto accusatorio è crollato, che l'uomo deve tornare in libertà perché si è verificata la triade diabolica «errore d'équipe più innamoramento della tesi più circostanze eccezionali e sfortunate». Ora, invece di chiedere scusa ai genitori e ai familiari dei bambini per non averli trovati in vita, invece di chiedere scusa al Popolo italiano e allo Stato per non avere subito risolto il caso, invece di chiedere perdono ai bambini per non averli salvati e per avere arrestato il loro padre, l'obsoleto e inadeguato sistema investigativo giudiziario all'italiana cosa fa?

Insiste nell'errore, nell'orgoglio e nel pregiudizio, si chiude a riccio, difende se stesso e gli errori commessi, non il coraggio di assumersi le responsabilità morali dell'errore commesso e ... nessuno abbandona la poltrona! Sarebbe il caso che i responsabili della disfatta investigativa ammettano l'errore, accendino la luce della verità totale, non si abbandonino alle emozioni dell'autodifesa a ogni costo: forse occorre dare una ripassata a quattro famosi e immortali contributi intellettuali di Confucio, Manzoni, Schopenauer e Goya, per poi riflettere, meditare, apprendere e cambiare! «Tre sono le parole più difficili da pronunciare: io ho sbagliato», Confucio. «Un'ipotesi svolge nella testa, una volta che vi si è insediata o, addirittura, vi è nata, una vita che somiglia a quella di un organismo, in quanto dal mondo esterno assimila soltanto ciò che le è giovevole e omogeneo, mentre respinge ciò che le è eterogeneo e nocivo, oppure, se non può assolutamente fare a meno di accoglierlo, lo espelle poi tale e quale», Arthur Schopenauer. «Spegnere il lume è un mezzo opportunissimo per non vedere la cosa che non piace, ma non per vedere quella che si desidera», Alessandro Manzoni. «Il sonno della ragione genera mostri», Francisco Goya.

Per concludere: chi investiga lo fa in nome e per conto del Popolo italiano, lo fa con i poteri invasivi conferitigli dallo Stesso; chi sbaglia investigando deve chiedere scusa, oltre alle vittime del crimine e dell'errore, anche al Popolo italiano ... e poi dimettersi!
*criminologo
www.detcrime.com

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