Fini ago della bilancia nel Rubygate

È partita la controffensiva sul caso Ruby. La manovra cerca di spun­tare le armi alla Procura di Milano ma soprattutto mette Fini con le spalle al muro

Fini ago della bilancia nel Rubygate

È partita la controffensiva sul caso Ruby. La manovra cerca di spun­tare le armi alla Procura di Milano ma soprattutto mette Fini con le spalle al muro. I capigruppo di maggioranza Fabrizio Cicchitto (Pdl), Marco Re­guzzoni (Lega) e Luciano Sardelli (Ir), hanno infatti inviato al presiden­te della Camera una lettera per chie­dere di sollevare il conflitto di attribu­zioni fra i poteri dello Stato «a tutela delle prerogative della Camera». Nel­lo scritto si evidenzia come, secondo la maggioranza, i magistrati di Mila­no, decidendo di continuare a occu­parsi del «caso Ruby» nonostante la Camera si fosse già pronunciata per la competenza del tribunale dei Mini­­stri, avrebbero leso le prerogative del­l’assemblea di Montecitorio e avreb­bero dato della disciplina vigente «un’interpretazione scorretta».

In pratica si chiede che sia la stessa Ca­mera a bussare alla Corte costituzio­nale affinché si pronunci se legittima­ti a giudicare il premier siano i magi­strati di Milano anziché quelli del tri­bunale dei ministri. Corte costituzio­nale il cui presidente, Ugo De Siervo, proprio ieri ha mandato un messag­gio a Berlusconi: «Un esponente poli­tico polemizza con la Corte parlando di giudici comunisti. Non si capisce da dove tragga queste affermazioni». La maggioranza, nella lettera a Fi­ni, dichiara anche «l’assoluta infon­datezza e illogicità dei capi di imputa­zione » che riguardano il premier e sottolinea che «all’organismo parla­mentare non può essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non mini­­steriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria». Qualora - come di fatto accaduto- non si tenga conto del pa­rere di Montecitorio, la Camera do­vrebbe «sollevare il conflitto di attri­buzioni assumendo di essere stata menomata per effetto della decisio­ne giudiziaria, della potestà ricono­s­ciutale dall’articolo 96 della Costitu­zione ». Nella lettera si dice anche che i magistrati di Milano hanno dimo­strato un «intendimento persecuto­rio o di contrapposizione al Parla­mento».

E adesso il boccino l’ha in mano Fi­ni. Il quale, due giorni fa, aveva spiega­to che siccome «non ci sono prece­denti, sarà una decisione presa alla lu­ce dei regolamenti ». Per poi aggiunge­re: «Non ci sarà conflitto istituzionale tra il mio ruolo di presidente della Ca­mera e il mio ruolo politico». La que­stione, quindi, dovrà essere valutata dall’ufficio di presidenza dove, tutta­via, la maggioranza è sotto: dieci gli esponenti dell’opposizione; otto quelli di maggioranza.Scontato l’esi­to del giudizio, in questo caso. Tutta­via la maggioranza confida che Fini non possa fermarsi alla valutazione dell’ufficio di presidenza, pena sma­scherare la propria imparzialità. «So­lo l’Assemblea ha competenza a di­chiarare definitivamente la volontà della Camera dei deputati di solleva­re o no un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - ragiona Peppino Calderisi del Pdl- E ciò perché, in ge­nerale, solo una norma costituziona­le­può attribuire a un organismo inter­no, anziché all’Assemblea, il potere di pronunciarsi in via definitiva a no­me della Camera». In pratica: si pro­nunci l’Aula - dove la maggioranza c’è eccome-e non un organo di Mon­­tecitorio. In più: «Sarebbe costituzio­nalmente illegittimo e gravissimo ­aggiunge Calderisi - dopo una even­tu­ale deliberazione negativa dell’uffi­cio di presidenza, impedire all’assem­blea di esprimere in via definitiva la volontà della Camera». Ed è proprio su questa decisione che la maggioran­za aspetta al varco Fini.

Perché qualo­ra impedisse un pronunciamento dell’Aula dimostrerebbe di fare l’arbi­tro indossando la maglia di una delle due squadre in campo. E a quel pun­to il conflitto politico potrebbe rag­giungere davvero il livello di guardia.

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