Fini negli Usa, «that’s amore!» E conquista anche i democratici

RomaPer chiudere la sua prima visita ufficiale a New York, Gianfranco Fini sceglie una cena all’insegna del tricolore e parla di immigrazione. Al Grand Hyatt l’incontro è organizzato dall’Italian American Community e il presidente della Camera fa omaggio alla comunità italiana e italoamericana negli Stati Uniti.
«Identità, libertà, dignità e lotta per la democrazia - dice - non sono patrimonio di una parte del Paese o di uno schieramento politico, ma dell’Italia intera».
Il giorno prima Fini ha incontrato una delle personalità politiche oggi più rappresentative del legame tra la nostra terra e quella americana, la speaker della Camera e sua omologa Nancy Pelosi, nipote di immigrati abruzzesi. Ora ne parla come del «simbolo del fatto che gli italoamericani non sono un’immagine coreografica, ma possono arrivare ai massimi livelli di eccellenza anche all’estero». Lei è un esempio, aggiunge il numero uno di Montecitorio, per tutti gli italiani che si sono trasferiti all’estero per lavorare, persone «unite dai valori comuni della democrazia» e che ribadiscono «la certezza che l’alleanza transatlantica non è solo militare e politica». Poi aggiunge: «Il nostro era un Paese di emigrati, oggi è un Paese di immigrazione: vorrei che chi si occupa del problema in Italia rifletta sul fatto che non solo negli Usa ma in tanti Paesi nel mondo ci sono tante personalità di rilievo con “sangue italiano nelle vene”».
Proprio la Pelosi ha definito Fini un «uomo del popolo», con la cui leadership «l’amicizia storica tra gli Stati Uniti e l’Italia già forte, crescerà»: una frase che è suonata come un endorsement pubblico. Anche perché la prima donna a guidare la Camera bassa Usa lo ha accolto nel suo studio riservandogli un onore concesso a pochi: il regalo della bandiera issata quel giorno sul punto più alto del Congresso.
E nella giornata conclusiva della sua missione oltreoceano il presidente della Camera ribadisce che gli Usa sono un modello per l’integrazione degli immigrati, tornando su un tema che gli sta a cuore. Quando si affronta la questione dell’immigrazione, dice Fini, «non si può prescindere dal fatto che quando gli immigrati entrano in un Paese poi vi mettono radici».
Le questioni Iran e Afghanistan non potevano certo rimanere fuori dai colloqui americani di Fini. E, dopo l’incontro di mercoledì alla Casa Bianca con il vicepresidente Joe Biden, una nota di Washington riferisce che i due leader politici «hanno affermato la forte amicizia e cooperazione tra gli Stati Uniti e l’Italia» e hanno discusso della necessità di «una forte cooperazione internazionale per evitare che l’Iran ottenga la capacità di possedere armi nucleari e di come approfondire la cooperazione in seno alla missione Nato in Afghanistan». Una nota inusuale, con parole che hanno fatto pensare a un dibattito ancora aperto tra Usa e Italia. Da parte sua, Fini aveva già detto qualcosa di più, spiegando che il vicepresidente Biden gli aveva espresso «una valutazione molto positiva sull’impegno che l’Italia sta garantendo a livello internazionale e in particolare il ruolo dei nostri soldati in Afghanistan» e aveva «molto apprezzato quello che ha detto Berlusconi in Israele nei confronti di Teheran». Ma, precisa rispondendo ad una domanda sul comunicato della Casa Bianca, non ci sono «dissonanze di alcun genere» tra le due dichiarazioni. D’altronde, secondo gli osservatori, in questi viaggio Fini ha «conquistato» i Democratici. L’ex leader di An ha avuto anche un colloquio con il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon.

La tragedia di Haiti, gli ha detto, senza l’Onu sarebbe stata ancora più drammatica e ha espresso il cordoglio della Camera per le vittime del sisma. Infine, si è concesso un passaggio da Vinitaly, la rassegna del vino italiano al Waldorf Astoria.

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