«Follini non dia l’alibi alla Lega»

Marianna Bartoccelli

da Roma

Sul referendum si gioca una partita non soltanto tra le coalizioni, ma anche dentro i partiti. Soprattutto nell’Udc dove si riaprono antichi contrasti e le affermazioni di Marco Follini che chiede libertà di coscienza al referendum diventano, per Carlo Giovanardi, ministro del governo Berlusconi ai rapporti con il Parlamento, un modo per spingere Umberto Bossi tra le braccia della sinistra. Di questo si parlerà, soprattutto, domani alla direzione del partito di Casini.
L'apertura di Bossi al confronto con l'attuale maggioranza sulle riforme dà ragione a Follini e Tabacci?
«Assolutamente no, anzi. Ma per capire meglio come stanno le cose e come i miei colleghi di partito non siano affatto coerenti, bisogna fare un po' di storia e non strumentalizzare Bossi. La Cdl è nata nel 2000 con un patto preciso proprio con Bossi: lui rinunciava alla secessione e si definiva un accordo politico sul federalismo. La discussione verteva sulla modifica del titolo V voluto dal centrosinistra. Andai io personalmente a Milano a siglare l'accordo. Per anni si è discusso di questa riforma, sino a quando, nel 2003, eravamo già alla terza lettura, Follini e Tabacci imposero l'alt e pretesero di ampliarla e inserire le parti su forma di governo e di Stato».
Ci fu una grande discussione e Bossi temette che allargare la legge servisse a rinviare, mi pare di ricordare.
«Ripeteva che a lui il resto non interessava, che per la Lega era fondamentale approvare le norme sul federalismo e sulla riforma fiscale. Alla fine fece buon viso a cattivo gioco e si diede il via alla riforma complessiva, come chiedeva l’Udc. Nacque il gruppo dei saggi di Lorenzago e per noi si dedicò alla riforma Francesco D'Onofrio che possiamo ormai definire tra i padri della nuova costituzione».
I saggi mediarono tra le proposte di Bossi e quelle dell'Udc...
«Non solo, ad esempio An voleva il presidenzialismo e alla fine si arrivò al premierato. Con le indicazioni che venivano proprio dall'Udc siamo riusciti a contemperare il federalismo con l'unità nazionale, seguendo la lezione di don Luigi Sturzo, di cui noi dell'Udc ci consideriamo gli eredi».
Quindi lei sostiene che Follini accettava le formulazioni della legge che man mano i saggi definivano...
«Non solo, le votava anche. Considerato, ripeto, che molte cose erano i nostri suggerimenti. Poi alla quarta votazione si astenne e con lui Tabacci».
Tabacci oggi presiede un comitato per il no e Follini insiste nella necessità di lasciare libertà di coscienza al voto del 25 maggio.
«E questo non va: è necessario che i partiti che hanno votato a favore della riforma siano presenti nella campagna elettorale per il sì. Soprattutto l'Udc, che ha voluto la grande riforma più dello stesso Bossi».
Bossi sostiene che se dovessero vincere i no, lui siederà al tavolo delle trattative con la nuova maggioranza per andare a una nuova legge, purché federalismo sia.
«Dal suo punto di vista è coerente. Se dovesse vincere il no la colpa sarebbe anche del disinteresse degli alleati della Cdl, e Bossi ha sempre detto che il federalismo lo fa con chi glielo dà. E la sinistra sarà disponibile a fare quello che Bossi chiede pur di mantenere la scarsa maggioranza al Senato».
Pensa che Bossi possa passare a sinistra?
«Follini gli sta fornendo un alibi. Affermare che bisogna dare libertà di coscienza equivale a defilarsi e a negare l'importanza del referendum.

La prossima direzione dell'Udc dovrebbe essere decisiva, e spero che tutto si risolva con il rispetto alla coerenza. E per coerenza intendo ricordare a Follini che se siamo a questa riforma è perché lui e l'Udc di cui era segretario l'hanno voluta».

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