Fonda: «I miei quarant’anni da Easy rider»

MilanoVestiva da Captain America, a stelle e strisce, Peter Fonda correndo in moto - verso la New Orleans del carnevale - in Easy Rider («Mantenuto»), da lui scritto, prodotto e interpretato accanto a Dennis Hopper, qui anche regista. Presentato marginalmente al Festival di Cannes del 1969, eppure subito notato, Easy Rider non vinse l'Oscar, ma cambiò Hollywood, dove le majors erano in passivo cronico. Un film indipendente, costato solo centomila dollari (d’allora), che incassava cento volte tanto, parve un modello e infatti originò il new cinema. Che divenne old quando uno dei suoi alfieri, Steven Spielberg, con Lo squalo, inaugurò l’era dei film di effetti speciali, che non è più terminata.
Che cos’era accaduto? L'idea libertaria di Fonda e il delirio psichedelico di Hopper avevano posto Easy Rider in sintonia con l’umore dei ventenni, allora più numerosi che oggi. Essi percepirono il sogno celato nel film, ma ne rimossero l’incubo ostentato, che pure si rivelava già prima del finale, con la bastonatura collettiva e l’assassinio del personaggio di Jack Nicholson.
Ieri Fonda, con Easy Rider, ha aperto il Busto Arsizio Film Festival (Baff). La statura (1,90) rimane imponente, ma ora si affida non alle droghe, ma a una bottiglia d’acqua. Il tempo passa, però i cinefili l’inchiodano tuttora a quel film, sebbene lui ami ricordare d'averne fatti altri. Perfino dizionari cinematografici simpatizzanti per l’epoca sessantottarda evocano fra le sue regie solo Il ritorno di Harry Collings. E, come attore, il catalogo del Baff lo definisce «di non molte risorse»...
Ma non si diventa Peter Fonda senza Henry Fonda. Il ricordo del padre e del complesso rapporto con lui aleggia sull’incontro con la stampa, stentando a emergere, finché non gli chiedo che cosa c’è in lui del padre. Peter trasale, ma poi non si fa pregare. Dice: «Nostro padre non ha mai parlato con noi (allude anche alla sorella Jane, ndr). Sono nato nel febbraio 1940, nel dicembre 1941 c’è stata la guerra e mio padre coltivava - come tanti - un “orto della vittoria”. Ma il suo non era un orto, era una fattoria, tanto era abile. Di lui m'è rimasta la propensione per la natura: sono stato un ambientalista arrabbiato. Mia madre, originaria dell’agricolo Ontario, aveva assecondato la sua propensione».
L’accenno alla madre non va oltre. Del suo suicidio Peter ha raccontato nei contenuti aggiunti del dvd di Easy Rider, ma ora non racconta nulla. Prosegue sul ricordo del padre, lasciando trasparire risentimento che viene dalla giovinezza e rimpianto che viene dall'età: «Una volta rientrai a casa: con lui c’erano la seconda moglie e due amici, avvocati. Uno di loro mi disse, rimproverandomi, che le leggi andavano rispettate, pur senza approvarle. Risposi che le leggi della California vietavano il coito orale, ma che loro se ne infischiavano. E la moglie di mio padre chiese: “Che cos’è un coito orale?”».
Il passato, dunque, non passa per questo giovanile sessantanovenne. L’eredità dei personaggi paterni è stata raccolta da un altro gigante, fisico e morale, Clint Eastwood.

Di lui Peter dice: «Ci separano dieci anni, posso fare come lui tanti altri film. Ora ne ho scritto uno sui pirati somali. Sarebbe sempre a basso costo, i soliti centomila dollari. Ma vorrei il controllo totale del film, un po’ come per Easy Rider».

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