La formula della vita sotto le bombe naziste

Non capita tutti i giorni di imbattersi in un libro scritto da un-ex reporter di gossip, autore di fantascienza, passato alla cosiddetta alta letteratura non prima di essersi reinventato giornalista scientifico con il pallino della divulgazione. E dire che non si tratta della trama dell’ultima spy-story di respiro internazionale, bensì dei semplici tratti biografici di Simon Ings, un autore inglese che si affaccia per la prima volta sul mercato italiano con il romanzo Il peso dei numeri (Il Saggiatore, pagg. 408, euro 16).
Sembra davvero che per Ings i numeri un peso lo abbiano avuto, visto che la sinestesia gli ha fatto compagnia fino all’età di diciotto anni, consentendogli di visualizzare i numeri come colori ed entità concrete e assicurandogli un’estrema facilità di calcolo. Ma, con i diciotto anni, la sinestesia se n’è andata, lasciando un vuoto molto pesante da colmare. «È stata dura passare dall’ottimismo al pessimismo più cupo - spiega Ings - ma c’è poco da stare allegri: la vita non ha un finale lieto. È anche per questo che ho smesso di scrivere romanzi di fantascienza improntati all’ironia. Non è il momento. Meglio parlare del nostro mondo che inventarne un altro. In un certo senso, ho cercato di raccogliere l’eredità di Thomas Hardy, uno degli scrittori che più mi hanno influenzato, pensando però a un mondo assolutamente ateo e alle implicazioni di una simile assenza di spirito religioso. Insomma, un mondo in cui coincidenze e fato, cioè i numeri, sono i veri protagonisti».
È un libro ambizioso il suo, con continui rimandi spazio-temporali che rischierebbero di spiazzare il lettore, se non fossero sostenuti da una buona scrittura. Ma Ings riesce sempre a dare spessore ai personaggi e credibilità alle più disparate situazioni in cui vengono coinvolti, che si trovino dalle parti di Glasgow, piuttosto che di Chicago, di Cape Canaveral o del Mozambico. Un rompicapo di date e luoghi che, secondo alcuni, rimanda direttamente ai maestri indiscussi di quello stile, Thomas Pyncheon e Don De Lillo. Ma Ings si schermisce: «Ho iniziato a leggerli troppo tardi per subirne l’influsso...».
Ings non è americano e si vede. Anzi, si legge. Trapela dalla sua scrittura un’erudizione enciclopedica che è molto europea, oltre a un inaspettato interesse per l’Italia, coltivato negli anni del suo coinvolgimento nel cinema con l’amore per il nostro Neorealismo. «Essere qui è una bellissima esperienza, soprattutto considerato che sono intrigato dalla cultura italiana». Non è affatto uno sterile esercizio stilistico l’intensa e credibile ricostruzione della Londra che visse l’inferno dei bombardamenti nazisti, con la sua strana atmosfera di trepidazione, terrore ed ebbrezza. Ings non si nasconde.

«La realtà ha davvero poco da spartire con una visione televisiva della vita. Il titolo originario de Il Peso dei Numeri era Gli Idealisti, visto che molti dei suoi protagonisti pensano di avere in mano il senso della vita. Credo che quel titolo regga ancor oggi».

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