FORZE ARMATE E ABBANDONATE

I tragici fatti dell’Irak che così dolorosamente ci hanno toccato fanno emergere il disagio di un’Italia pulita e profonda, che ama e rispetta le sue forze armate, nei confronti di una sinistra culturalmente aliena che, nei giorni del suo presunto trionfo, proprio sulle forze armate riversa il disprezzo, la sfiducia e la lontananza coltivati in decenni di autosegregazione ideologica. L’altro ieri è toccato a Oliviero Diliberto, che davanti alla salma del caporale Pibiri cianciava di soldati italiani «mandati in guerra in Irak». Gli ha risposto sdegnato Mauro Pibiri, il quale ha precisato che suo fratello, il caporale ucciso, era andato a Nassirya per aiutare gli iracheni, non per combatterli. Che la sinistra mente, per pregiudizio ideologico e per speculazione politica. Anche il padre di un ferito, Daga, ha espresso gli stessi concetti. Ieri è toccato a Fausto Bertinotti, che si è preso dell’«opportunista» da Gianalfonso D’Avossa, già comandante della divisione «Ariete».
A Bertinotti è stata contestata la sua doppiezza di uomo delle istituzioni che accetta gli onori senza rispettare nel profondo le istituzioni. Bertinotti ubiquo, che il 2 giugno col cuore marciava contro le forze armate, col distintivo pacifista stava ai Fori Imperiali. Il subcomandante Fausto che esalta i ribelli del Chapas mentre manda la gentile signora Menapace a dire tutto il male possibile delle nostre forze armate e, in specie, delle Frecce Tricolori.
È evidente che al rifiuto di certe strumentalizzazioni espresso da cittadini liberi di parlare con franchezza corrisponda un disagio degli uomini delle forze armate, che però tacciono. C’è una tradizione di rispettosa e silenziosa lealtà verso le istituzioni civili. I militari italiani, nonostante le elucubrazioni e le ossessioni di certa sinistra cui s’è fermato l’orologio, sono e sono stati sempre leali. Ma questo dovrebbe essere un motivo in più per non offenderli stoltamente e inutilmente, paragonandoli, ad esempio, a «truppe d’occupazione». Le forze armate italiane non fanno la guerra a nessuno. L’Italia è una media potenza regionale con degli obblighi internazionali e deve avere uno strumento militare il cui compito è quello di garantire pace e sicurezza nella solidarietà. Nei Balcani come in Medio Oriente, perpetuando valori di abnegazione, di specifiche competenze addestrative e operative. I nostri soldati sono stati, inoltre, uno dei fili con cui si è tessuta la nostra unità. La «Sassari», ad esempio, non è soltanto una brigata, è qualcosa di più, è anche uno spazio della memoria.
Le vicende politiche hanno fatto sì che arrivassero a responsabilità di governo uomini che non hanno alcuna consapevolezza del ruolo insostituibile dell’apparato militare. C’è una sinistra che non ha ancora smaltito la sindrome della cortina di ferro, che magari nel profondo del suo cuore settario giustifica la Ceka e i corpi speciali che tutti i comunismi hanno generato e che però vorrebbe trasformare le nostre forze armate in una sterminata legione di «operatori sociali», organizzati come in una Asl.
Da questo contrasto culturale nasce il disagio delle forze armate e di tutta l’Italia che vive e pensa in sintonia con questa grande istituzione. Non c’è frattura fra Paese e forze armate, gli alieni sono altri.


Romano Prodi è consapevole di avere favorito questo disagio? Il Professore tenta la via dell’umorismo e, senza far ridere, accenna al folklore della peggiore sinistra che s’è portato in casa. Strano folklore che provoca sconcerto e amarezza.

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