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Franco «er marmoraro», razza in via d’estinzione

Si chiama Franco Russo, ma tutti lo conoscono come «Franco er marmista» da quando tanti anni fa lo soprannominò così il presidente del Coni Giulio Onesti. Bottega (e laboratorio) in via di Panico, la stessa aperta da Federico Rossi nel ’30, dove si facevano e si fanno lavori di ogni tipo, dalle soglie ai bassorilievi, alle basi dei tavoli, alle maschere, «ma prima di tutto il restauro». Dal nuovo, come per la villa di Sophia Loren a Marino, al vecchio, come i rivestimenti marmorei della Galleria Borghese. Ora sta restaurando i pavimenti dell’Istituto Nazionale di Studi Romani ai Cavalieri di Malta. «Un pavimento bellissimo in giallo antico, cipollino, bardiglio fiorito, portasanta. Ma non riesco a trovare la breccia corallina ombrata» e se ne duole.
Artigiano a tutto tondo, lavora per l’aristocrazia romana e la gente che conta. Una foto con dedica ritrae Berlusconi e Bush davanti a una scultura neoclassica, dono al presidente americano. L’ha restaurata lui. Ma ha un cruccio. «Potrò durare per 5-6 anni poi basta», il figlio ha preso un’altra strada, i suoi collaboratori hanno i capelli grigi.
È uno degli ultimi esemplari di una razza in estinzione, quella dei marmorari romani che non hanno a chi trasmettere i segreti del mestiere. «I giovani non ci sono più», dice criticando il modo in cui è stata affrontata la questione apprendisti. «Troppo cari, allora era preferibile prendere un operaio». Una lagnanza che trova d’accordo anche il giovane Vitaliano Chiodo che lavora solo marmi. Media azienda al Divino Amore, 11 operai tutti italiani eccetto un romeno, hanno realizzato a Vernicino la piazza della Banca d’Italia con la meridiana e il pavimento della presidenza dell’Ufficio Italiano Cambi a via Quattro Novembre. I giovani latitano anche nella zona del Verano dove si addensa il maggior numero di imprese che opera nel settore funerario. C’è chi è specializzato in marmi, in scultura, in incisioni, ma non si trova più chi sappia mettere insieme le tessere di un mosaico. «In 40 anni hanno chiuso fra grandi e piccoli una sessantina. Prima erano molti di più, c’erano anche fra lo Scalo di San Lorenzo e le mura, ora sono tutti raccolti fra il cimitero, via dei Reti, piazzale del Verano e lo Scalo di S. Lorenzo», ricorda Maurizio Biondi che porta avanti l’azienda aperta dal bisnonno nel 1885.


Ma quanti sono i marmisti, eredi della gloriosa Università dei Marmorari che celebra il VI centenario della fondazione? 166 le imprese censite a Roma città, fra centro storico e zone periferiche, con densità maggiore attorno al Verano e a S. Pietro e in alcune zone dove l’artigianato vive ancora. 240 in provincia con Tivoli e Guidonia in testa per l’estrazione e la lavorazione del travertino romano.

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