I ragazzi del coro unionista – mi riferisco, con la delicatezza che il caso richiede, a Corriere della sera, Repubblica e Stampa - hanno stabilito, con l’autorevolezza che loro non compete, che il professor Romano Prodi è uscito con più penne dal dibattito con il cavalier Silvio Berlusconi. Nessuna sorpresa, quei giornali avrebbero potuto scrivere ciò che hanno scritto fra cinque giorni o cinque giorni fa, anche se il confronto in ambiente polare non ci fosse mai stato. I ragazzi del coro hanno i loro pregiudizi, che certamente non riusciranno a confondere la stragrande maggioranza degli elettori. Ma questi pregiudizi, per un caso singolare, hanno avuto un certo effetto proprio sugli alleati del Cavaliere, che si sono stranamente mostrati prudenti fino al masochismo, cautelosi e circospetti come zitelle impressionabili, pronti a distinguere le proprie posizioni da quelle del cireneo istituzionale. Con gradazioni, s’intende. Gianfranco Fini, al quale l’esperienza della Farnesina è servita a rafforzare le sue doti di uomo di governo, ha individuato subito i punti vulnerabili rivelati da Romano Prodi nel confronto Tv, ma non ha resistito alla tentazione di criticare il presidente del Consiglio. L’ha fatto in una prospettiva positiva, di crescita di un centrodestra capace di ascoltare ancor di più le domande dei cittadini, ma la critica se l’è concessa. Nulla di male, in democrazia si discute.
Pierferdinando Casini è stato più tranchant e saccente: Silvio Berlusconi ha sbagliato, così ha sentenziato, perché ha parlato troppo del passato, trascurando il futuro, materia in cui eccellono le sibille dell’Udc, forse perché spesso hanno la testa rivolta al passato.
A sbracare è stato l’ineffabile ex ministro Roberto Calderoli, leghista specializzato in maglieria intima, il quale ha affermato che, dopo aver assistito al duello televisivo Berlusconi-Prodi, se lui fosse stato un indeciso (soggetto amato dai sondaggisti) si sarebbe astenuto dal voto.
Mitico Calderoli, questa sua massima memorabile dovrebbe stampigliarsela su una maglietta, per suscitare gli stessi moti di simpatia che ha provocato con un altro famigerato capo intimo.
Ma che succede? Quando cominciavano a circolare i sondaggi che smentivano le pretese vittorie a tavolino del centrosinistra tutti gli alleati del Cavaliere confermavano il valore e il significato di una leadership storicamente necessaria e, pur nella valorizzazione tattica del proporzionale con premio di maggioranza, riconfermavano il valore del bipolarismo, conquista irrinunciabile di una democrazia matura uscita dalla palude dell’alternanza impossibile. Ma oggi basta la serenata dei ragazzi del coro perché i leader del centrodestra si concedano un lusso che non potrebbero concedersi, quello del “fuoco amico” contro il presidente del Consiglio.
Il popolo di centrodestra resta perplesso, proprio nel momento in cui le indecisioni e gli smarrimenti possono pesare troppo. Va bene il gioco “a tre punte”, ma le punte chi vanno a infilzare?
È curioso, è come se si realizzasse un processo imitativo verso il peggio, con la Casa delle libertà che si sforzi di omologarsi all’Unione proprio nella disunione.
Spero che i leader trovino il modo di chiarire prima che il gallo, il 9 aprile, canti.
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