nostro inviato a Nairobi
Incontriamo Pierandrea Magistrati all’ambasciata italiana a Nairobi, il suo quartier generale. Ci accoglie all’ingresso un carabiniere e ci sentiamo subito a casa. Magistrati è un diplomatico di lungo corso, abituato a operare in situazioni di difficoltà operativa: “Sono stato quattro anni nella Polonia comunista, ero all’ambasciata di Washington mentre a New York crollavano le Torri Gemelle e da quatto anni sono qui in Africa”, ci racconta sprofondato nella sua poltrona.
Omofobia in Africa Iniziamo la conversazione dall’argomento più recente: l’esternazione dal sapore omofobo sfuggita al premier Odinga durante un discorso pubblico. “La verità è che quella frase ha avuto più eco all’estero che qui in Kenya”, smorza subito Magistrati. In effetti la sortita del politico keniota ha fatto il giro del mondo, presa e rilanciata da tutte le agenzie di stampa è finita su tutti i quotidiani. “Il premier ha detto che non bisogna essere omosessuali, una dichiarazione che è stata poi smentita. Ma in realtà ha interpretato un sentimento di chiusura nei confronti dell’omosessualità che è ancora molto diffuso nelle zone interne del Paese, nella campagne. Qui a Nairobi c’è una fiorente comunità gay che vive in totale tranquillità”. “La boutade è stata ingigantita dalla stampa. Questa mattina ho avuto un vertice con gli ambasciatori dell’Unione europea – racconta il diplomatico al Giornale -. Si è parlato anche di questo caso e alla fine abbiamo deciso di non produrre nessun documento ufficiale. Non c’è una reale emergenza”.
Il cammino verso una democrazia compiuta In agosto il Kenya ha deciso con un referendum di intraprendere una strada di innovazione costituzionale e politica che finirà per riverberarsi anche sulla società. “Il primo successo sono state le stesse votazioni: si sono svolte in piena regolarità e senza alcuno scontro. Ora è iniziati il lungo e tortuoso cammino delle riforme. In Parlamento stanno discutendo e litigando animatamente, ma la strada per l’innovazione oramai è stata imboccata. L’unica vera certezza è che il Paese tornerà ad avere un presidente unico e scomparirà la carica del premier, creata dopo le sommosse delle scorse elezioni”. Il 2008 per il paese africano fu un bagno di sangue. Il 27 dicembre, il giorno dopo le elezioni che riconfermarono presidente Mwai Kibeka, scoppiò una rivolta. Al termine della “guerra civile” si contarono 251 cadaveri. Nacque così, per mitigare la tensione sociale, la creatura bicefala del governo con premier e presidente con simili poteri.
Il business dei pirati somali Ma le patate che scottano sull’agenda di Magistrati sono più di una: la pirateria al primo posto. “Noi ci occupiamo anche della Somalia. A Mogadisco per motivi di sicurezza non abbiamo un’ambasciata e quindi l’incarico tocca a noi. La pirateria è un problema che riguarda tutto il mondo e in particolar modo il Kenya. Al momento le navi sotto sequestro sono 24, per ogni imbarcazione è chiesto un riscatto minimo di 6 milioni di dollari. Basta fare un semplice calcolo per capire la potenza di queste organizzazioni. Ormai lo spettro di azione di questi criminali si estende per tutto l’Oceano indiano ed è impossibile pattugliarlo costantemente. Molti dei proventi di questi “rapimenti” vengono poi investiti qui in Kenya.
Molte zone della città, come per esempio il quartiere di Masli, hanno una costante infiltrazione di capitali provenienti da Mogadiscio. L’unico modo per sconfiggere i pirati è combatterli a terra, attaccando i loro interessi e le loro imbarcazioni In mare non c’è speranza di fermarli”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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