Sarà confortante per Franco Pacenza capogruppo dei Ds al consiglio regionale calabrese, arrestato sotto laccusa di «voto di scambio» nel contesto di una brutta storia di truffa allUnione europea e da ieri ai domiciliari ricevere la visita di deputati degli opposti schieramenti e sapere che un secondo sit-in si è svolto davanti al carcere di Cosenza per esprimergli solidarietà e vicinanza. La manifestazione è legittima e di garantismo non se ne ha mai abbastanza. Noi non sappiamo se Pacenza abbia realmente commesso i fatti che gli sono stati contestati e, da garantisti non occasionali continueremo a considerarlo innocente fino a quando un equo processo, con sentenza definitiva, non avrà dimostrato il contrario. Abbiamo anche il sospetto che larresto, caduto come un fulmine nella quiete della vacanza ferragostana, forse abbia costituito uninutile drammatizzazione spettacolare, che insomma la verità si sarebbe potuta anche accertare senza far tintinnare la manette. Ma un elemento colpisce nel sit-in calabrese: che ad organizzarlo siano stati soprattutto esponenti della sinistra e della Margherita, elementi che fino a ieri rumoreggiavano ed esigevano un generalizzato e indistinto rigore, confondendosi con le tricoteuses della politica e del giornalismo italiani, emulando cioè quelle buone donne che, ai tempi del terrore giacobino, godevano a sferruzzare ai piedi della ghigliottina, beandosi del sangue che i virtuosi e gli incorruttibili del momento facevano versare ai «nemici della rivoluzione». E già, fino a ieri, questi garantisti di rincalzo erano essi stessi giacobini e giustizialisti, forcaioli immarcescibili, adoratori della gogna mediatica che sempre saccompagna agli arresti, specie se questi toccano il ceto politico. Sì, fino a ieri i Ds e i margheriti, gli unionisti e i sinistri di ogni nuance che oggi in Calabria si agitano facevano quadrato intorno ai pubblici ministeri più muscolosi e immaginifici, forse perché nella maggior parte dei casi lansia di mostrare le «mani pulite» si esercitava soprattutto ai danni del campo avverso alla sinistra. E quando si mettevano in dubbio i dogmi e i teoremi del pm erano proprio loro, i giacobini oggi pentiti, a zittirci: «Non si può delegittimare la magistratura, né si può tentare di condizionarla». Tutti dun pezzo, gli incorruttibili per definizione.
Ed ora eccoli qui, i ravveduti dellultima ora e dellultima manetta, a invocare libertà e riabilitazione per il compagno arrestato. Per parafrasare una battuta americana sullorigine dei liberal, si può dire che certi neo-garantisti sono dei forcaioli che sono stati arrestati o ai quali è stato arrestato un compagno di partito. Possono sopportare le sofferenze degli altri, specie degli avversari politici, ma non possono tollerare il dolore di chi è carne della loro carne e sangue del loro sangue, ideologici, sintende.
Questa vicenda calabrese è lennesima riprova della doppiezza originaria della sinistra, che è garantista a corrente alternata, che crede nella «via giudiziaria alla democrazia» quando una magistratura ideologizzata persegue a tutti i costi esponenti moderati e che, però, contesta le toghe quando sfiorano gli affari torbidi di certe cooperative o indagano su politici progressisti. E questa doppiezza è unaltra dimostrazione dellintollerabile arroganza con cui questa sinistra rivendica per sé uninesistente superiorità morale.
Il caso Pacenza dovrebbe imporre serie riflessioni alla scombinata compagine del centrosinistra. Marco Minniti, sottosegretario Ds allInterno, non carica a testa bassa i giudici, parla però di un «errore giudiziario». Ma come? Non sono stati i suoi compagni a tentare di spiegarci, per anni, che certa magistratura non sbaglia mai, che ha sempre ragione?
Ad ogni modo, i garantisti dellultima ora avrebbero il modo di dimostrare che la loro conversione non è dettata da un meschino calcolo politico, potrebbero valutare lopportunità di attivarsi per non cancellare la riforma dellordinamento giudiziario, tanto contestata dal «partito dei giudici».
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