Il gelato londinese che faceva gola a Leopardi

Siegfried Kracauer racconta che quando nel 1832 il colera giunse a Parigi, trovandovi il carnevale, il numero dei morti fu così alto che molti furono posti nella bara con le maschere che portavano al ballo. È in maschera anche il Leopardi che Alessandro Zaccuri (Il signor figlio, Mondadori, 335 pagg., 17 euro) immagina cinque anni più tardi approfittare del medesimo batterio per fuggire da Napoli dopo un coccolone passeggero e trasferirsi in Inghilterra. L’autore dei Canti abita sotto il falso nome di Rossi in una soffitta di Villier street, a Londra. Si nutre di puré di patate e dà lezioni di indostano al padre di Rudyard Kipling. Alle spalle dello squattrinato precettore, tuttavia, si intravedono attività meno limpide. Per cominciare il conte Rossi intrattiene, incognito, un carteggio col padre Monaldo, che lo crede morto.
Come la Londra dell’Ottocento, che nelle fogne raddoppia la città visibile in superficie, anche il romanzo di Zaccuri si dispone su due piani: ben presto infatti alla soffitta di Villier street si aggiungono i campi di battaglia della prima guerra mondiale, dove ha luogo un altro incontro: quello tra Rudyard Kipling, impegnato a cercare le spoglie del figlio morto in battaglia, e Pierre Messiaen, padre di Olivier, uno dei maggiori compositori del XX secolo. Impossibile anche solo accennare all’intreccio ingarbugliatissimo, non edipico ma di schietta competizione patrilineare, che lega tre generazioni di Kipling, due di Messiaen e due di Leopardi. L’autore del Libro della giungla avrebbe preferito Monaldo al figlio, e forse Olivier Messiaen avrebbe rintracciato delle affinità tra i suoi Oiseaux exotiques e gli uccelli delle Operette morali; ma il bello del romanzo sta altrove: nel gusto di far accomodare in una gelateria londinese il grande poeta italiano e zoomare all’indietro fino a includere nel quadro la crisi novecentesca cantata da Messiaen. In un certo senso, il protagonista non è Giacomo: Zaccuri ha piuttosto riunito gli scampoli orientalisti di Leopardi per costringere Rudyard Kipling a percepire il sostrato esoterico della sua India passando attraverso la biblioteca di Recanati. Un romanzo così vorticoso e caleidoscopico piacerà a chi ha apprezzato i Demoni di Parazzoli-Monina-Genna, o la Mater terribilis di Valerio Evangelisti. Quanto a Leopardi, si direbbe che non sia stato interpretato, e in fondo nemmeno saccheggiato.

Usato, forse? Di certo il fosco universo ermetico che domina Il signor figlio è agli antipodi dell’adamantina filologia del recanatese. Poco male: la pagina di Zaccuri ha buona statura retorica, cultura e una propensione per la frase tagliente che la riscattano dall’orizzonte new age da cui indubbiamente proviene.

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