Dev’essere che Roberto Speciale è «soldato di mondo», come ama definirsi. Quando l’Ansa nel pomeriggio batte la notizia «Visco, Pm chiede l’archiviazione», lui nemmeno tentenna. Erano troppi i segnali per immaginare un esito diverso. Ma fiuta subito altre battaglie. Determinazione, ironia prendono subito il sopravvento: «La Procura mi crede - si conforta -. Zittisce chi diceva che mi ero inventato tutto. Ammette apertamente che c’è stata una condotta illegittima di Visco. Non dice che “il fatto non sussiste”». Eppure la richiesta d’archiviazione toglie rilevanza penale alle sue accuse, «Sarà il Gip - taglia corto - a decidere quanto la condotta del viceministro sia penalmente rilevante». Speciale legge nelle motivazioni della Procura il classico cavillo all’italiana: «Con tutto il rispetto per i magistrati - ragiona soffermandosi sulle parole - non hanno voluto scontentare nessuno. Ma su questa vicenda si spende il mio onore. E darò battaglia sino in fondo». La vicenda, infatti, non è affatto conclusa. «Anzi, inizia proprio adesso - incalza Speciale - perché mi opporrò all’archiviazione. Gli avvocati stanno già preparando la memoria».
«Andrò sino in fondo». Già a luglio il difensore di Speciale, l’avvocato Longo, era andato in Procura, costituendosi parte offesa. Posizione che consente di opporsi alle decisioni degli inquirenti davanti al Gip. Che dovrà convocare le parti per una Camera di consiglio. Già prima della pausa d’agosto, infatti, sulle mosse dei Pm di piazzale Clodio erano arrivati segnali, voci contrastanti, persino qualche insinuazione. All’interno delle Fiamme gialle era iniziato un obliquo tam tam: tra il pm Angelantonio Racanelli e il procuratore capo Giovanni Ferrara ci sono posizioni differenti. Il primo vorrebbe chiedere il rinvio a giudizio di Visco, mentre il capo ufficio non ravviserebbe gli estremi di reato e sarebbe intenzionato ad archiviare. «Non c’è nessuna disarmonia - aveva replicato Ferrara al Giornale - ancora non abbiamo valutato gli atti nella loro completezza. E non ci sono state nemmeno pressioni». E Racanelli si era speso in un’indagine tanto rapida (nemmeno due mesi) quanto approfondita.
Sentiti 30 testi. Il Pm ha sentito oltre 30 testi, tra ufficiali ed ex appartenenti, andando persino a individuare chi avrebbe alimentato le idee negative che spinsero poi Visco a chiedere a Speciale le teste dell’intera gerarchia della Gdf della Lombardia nel luglio del 2006. I cognomi sono sui verbali (c’è persino quello di un ex capo di Stato maggiore), basta leggerli, «E le assicuro che se qualche collega mi ha diffamato - annuncia già uno dei quattro ufficiali che era nel mirino di Visco - partiranno querele e atti di citazione». Insomma la vicenda non finisce sotto silenzio. Gli atti di Racanelli alimenteranno altri procedimenti.
Del resto la storia ha dell’inverosimile. Da qualsiasi parte la si prenda. A iniziare proprio dalle richieste di Visco. Rivolte a Speciale, all’allora comandante in Seconda Italo Pappa e al generale Sergio Favaro. In separati incontri del 13 luglio 2006, chiese di rimuovere l’intera gerarchia milanese senza indicare alcun motivo. Lasciando di sale gli alti ufficiali (Favaro: «Indubbiamente l’intervento di Visco mi colse di sorpresa non essendovi precedenti di cui io sia a conoscenza»). Una richiesta che portò a uno scontro durissimo tra Visco e Speciale, con il primo che ogni giorno chiedeva i trasferimenti e l’allora comandante che cercava di guadagnare tempo, informando la procura di Milano visto che alcuni degli ufficiali erano impegnati in delicate indagini. Come quelle su Antonveneta e Bnl da parte rispettivamente di Bpl e Unipol. Speciale in quei giorni denuncia in Tribunale a Milano pressioni subite in questa vicenda, ricostruisce il durissimo braccio di ferro, svela minacce nell’ormai famosa telefonata con il viceministro: «Visco mi ha riferito di ritenermi responsabile di quanto accaduto, di non aver rispettato alcuna regola deontologica non avendo dato esecuzione istantanea a quanto mi era stato da lui ordinato, di riunirmi subito con i generali Pappa e Favaro per dare a quegli ordini esecuzione immediata. Il viceministro Visco ha aggiunto che se non avessi ottemperato a queste direttive, erano chiare le conseguenze cui sarei andato incontro. Io risposi che l’osservazione delle regole è stato il faro di tutta la mia vita…. E che piuttosto che assecondare le richieste ero pronto a rassegnare il mandato».
Indagini al rallentatore. Ma il verbale, redatto a Milano a metà luglio del 2006, finisce in un’indagine disciplinare che si muove a rilento. La procura generale sente qualche teste ma non trasmette gli atti a nessun Pm. Come va a rilento anche il procedimento aperto dalla procura militare di Roma dopo un esposto proveniente proprio dal Comando Generale. Poi il Giornale a fine maggio pubblica i verbali sia di Speciale sia dei generali e dei testimoni che confermavano le accuse dell’allora comandante generale. La procura di Roma indaga Visco per minacce e abuso d’ufficio e il caso diventa politico. La maggioranza vacilla. Il ministro Tommaso Padoa-Schioppa ritira a Visco la delega sulla Gdf e manda a casa Speciale accusandolo nel suo intervento del 6 giugno in Senato di gestire separatamente il Corpo. Un colpo basso che porta il generale a querelare Tps (il procedimento è al Tribunale dei ministri) e a chiedere al Tar il reintegro e un risarcimento di 5 milioni di euro. Se ne discuterà a novembre.
Speciale a Strasburgo. Ma nella maggioranza la storia di Speciale apre anche crepe profonde.
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