La più giovane, M.M., ha 8 anni, e i suoi 165 titoli (valore 2.600 euro) sono in gestione per «podestà parentale». La più anziana, M.B., è invece nata 101 anni fa e di titoli ne ha messi insieme 35mila (550mila euro). Mentre i 13.000 titoli (200mila euro) di C.M., romana, che di anni ne avrebbe 113 essendo nata nel 1898, sono nella disponibilità del curatore dell’eredità, non essendo ancora stati assegnati.
C’è questo e, naturalmente, moltissimo altro nel libro dei 237mila soci delle Generali, aggiornato dagli gnomi triestini del primo piano di Piazza Duca degli Abruzzi nelle occasioni canoniche quali l’assemblea o lo stacco dei dividendi. E questo è uno di quei periodi, tra l’assemblea appena celebrata il 30 aprile, e il pagamento della cedola del 26 maggio prossimo. Il momento giusto per vedere chi sono i padroni della società, quelli che hanno diritto di scegliere o cacciare Geronzi piuttosto che Galateri.
Le cose, in realtà, non vanno così perché a comandare a Trieste è quel pacchetto del 13,24% di Mediobanca, sul quale convergono i voti di un altro 12-15% di grandi soci, e al quale si accodano la Banca d’Italia (storico 4,5%) e altri big dai 15 milioni di titoli, che valgono dall’1% in su. Ma dietro c’è tutto il resto, il vero capitale pulsante della compagnia, nomi sconosciuti anche con solo 2 o 5 titoli, piuttosto che grandi famiglie venete come gli Romain Jacur che mettono insieme un milioncino di titoli, o il friulano signor E.T., che da solo ha un tesoretto di 870mila pezzi.
Però non c’è solo il Triveneto, dove la natura triestina della compagnia si fa sentire eccome, ma uno spaccato dell’Italia intera: dalle valli del Gran Paradiso, a quella degli Iblei, un socio Generali non si nega mai. Ecco perché quello che succede nell’unica grande nobile potenza finanziaria nazionale interessa tutto il Paese, che guarda a Trieste per mettere al sicuro i propri risparmi, di generazione in generazione.
Così non mancano i nomi noti. Nel libro dei soci, quantificato a 15,8 euro per azione, prezzo di venerdì scorso, compare per esempio Luca Montezemolo con 50mila titoli in deposito alla Banca Intermobiliare, pari a 750mila euro utilizzati alla bisogna come pegno creditizio. E la stessa padrona della Intermobiliare (la banca di fiducia di De Benedetti), Franca Bruna Segre, ha un pacchettino che vale più di 3,3 milioni. D’altra parte il ricco e riservato Piemonte è terreno fertile di grandi soci, come Ottavio Riccadonna, viticoltore a Canelli celebre per il «President Reserve», che ha 80mila titoli. Ad Alba c’è un Ferrero che ne detiene 70mila e ad Alessandria ci sono 228mila titoli (3,5 milioni) intestati a Daniela Gavio, e 357mila a Beniamino (5,5 milioni), eredi dell’impero di Marcellino Gavio, scomparso due anni fa. D’altra parte, nell’ultima assemblea i Gavio erano presenti con più dello 0,3%, anche grazie alle azioni detenute nella Argo Finanziaria. Chissà se si tratta di una presenza destinata a confluire nel giro Crt-Effeti-Ferak, già forte del 3,9%. Tra le curiosità, Oliviero Beha, noto giornalista, ha comprato 7.500 titoli, che valgono 120mila euro; mentre come noto anche la moglie del premier Miriam Bartolini (in arte Veronica Lario) ha un pacchetto che vale intorno ai 3 milioni.
Di rilievo la presenza dei manager. Si pensi che nell’ultima assemblea una quarantina di essi ha messo insieme le quote, delegando un rappresentante a votare per oltre 2,2 milioni di titoli. Tra questi, il group ceo Perissinotto (39mila titoli), l’ad Balbinot (12mila), il direttore generale e finanziario Raffaele Agrusti (25mila), e il suo vice Minucci (21mila). Mentre con piccoli pacchetti (di 42, piuttosto che 56 azioni) si trovano molti altri dipendenti che le ricevono, anche in seguito ai piani di distribuzione aziendali. Spulciando invece tra i big, si nota che tra i soci del Nord Est vicini al gruppo Palladio (che già è il perno dell’1,56% di Ferak e del 2,3% di Effeti) ci sono anche Veneto Banca con 580mila titoli e la Popolare Vicenza con un milione. Mentre è estremamente frammentata la quota del 2,23% (34,9 milioni di azioni) con la quale vota Francesco Gaetano Caltagirone: è detenuta da ben 17 diverse società tra srl e spa, nessuna con più di 6 milioni di titoli. E Bollorè non ha comprato più di tanto: appena poco più di 2 milioni di titoli il suo tesoretto (0,14%).
Infine, è sempre impressionante la presenza di fondi internazionali, d’investimento o previdenziali, specie americani: dall’Alaska fund corporation, all’At&t welfare; dal Florida Retirement system,
alla municipalizzata di San Diego; oltre a tutte le compagnie concorrenti europee e nordamericane. E poi non potevano mancare i cinesi che, con la People’s bank di Pechino, hanno portato a casa l’1%. Forse è solo l’inizio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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