La metamorfosi di Orlando, da duro a neodemocristiano

La metamorfosi di Orlando, da duro a neodemocristiano

(...) legittimo, ci mancherebbe. Ma anche tutto spesso molto lontano dal sentire degli elettori moderati, capace di trasformare Orlando in uno dei tanti leaderini del Pd cresciuti in batteria. Un po' troppo perfettini e professorini per esser leader veri.
Poi, però, dallo scioglimento delle Camere in poi, è cominciata un'altra partita e si è vista un'altra storia. Non che Orlando da «giovane turco» si sia trasformato in un emulo di Erdogan o che abbia dimenticato la provenienza diessina. Anzi, ogni tanto, il «richiamo della foresta» viene fuori e in ogni sua frase c'è qualche elemento politically correct oltre la modica quantità. Ma ha iniziato una serie di mosse che l'hanno portato ad essere il politico ligure messo meglio a livello nazionale in questo momento. In principio, furono le primarie: forte del suo ruolo nazionale, il «turco» avrebbe potuto pretendere l'inserimento a forza in testa di lista. Invece, ha scelto di andare a sudarsi le preferenze sotto Natale ed è stato capolista grazie alla valanga di voti presi in sezione e non per imposizione romana. Soprattutto, tralasciando anche le vicende del partito ligure, senza impelagarsi in guerre di posizione.
Poi, dopo aver visto che, bersanianamente, il Pd era primo ma non aveva vinto, ha evitato di piazzarsi davanti a twitter per raccogliere ogni respiro di coloro che urlavano «Ro-do-tà Ro-do-tà» e invocavano «governi di cambiamento» coi Cinque Stelle. Ma ha avuto la forza di stare alla finesta, di lasciar passare alcuni treni (in molti nel gruppo Pd l'avrebbero voluto presidente della Camera o almeno capogruppo a Montecitorio) e di non mettersi alla guida di sommosse contro Marini, contro Prodi o contro chiunque altro, ma di essere in linea con il suo partito. Senza rinunciare a dire che ciò che stava accadendo era folle.
Insomma, fra i post-comunisti del Pd, Andrea è il più democristiano di tutti. Ben gliene incolse, tanto che, al momento di compilare la lista dei ministri del governo Letta, il suo nome è venuto quasi in automatico, senza soverchie opposizioni. Poi, certo, la casella dell'Ambiente inizialmente lasciò sorpresi molti, visto che la sua destinazione naturale avrebbe dovuto essere la Giustizia, dato che era responsabile nazionale del suo partito per quel settore, ed aveva avuto anche il coraggio di posizioni non sempre popolarissime a quelle latitudini, come un appoggio alla magistratura serio, ma non acritico e sdraiato. Tanto che una sua intervista al Foglio che sembrava una sorta di «bozza Boato» (ottimo testo uscito dalla Bicamerale) del secondo millennio, fece scalpore.
All'Ambiente, stessa storia. Complice la conferma (atto sempre nobile) degli amici di sempre nel suo staff, a partire dalla portavoce Laura Cremolini, presidente del consiglio comunale della Spezia che ha portato in dote al ministero pure la sua erre fascinossima, di stampo francese, Orlando ha infilato una serie di posizioni non scontate e non necessariamente de sinistra, nel senso della sinistra che sfila in manifestazioni dietro striscioni che dicono no a tutto.
Così Andrea, che è anche un ragazzo simpatico una volta che rompi la patina da professorino che si porta insita, insieme a tanto politicamente corretto, riesce a dir no al nucleare senza tagliarsi tutti i ponti alle spalle o - anche oggi - a dare una grande lezione al sindaco di Genova Marco Doria e a ogni massimalismo di sinistra dichiarando al Secolo XIX: «Spero che adesso il consiglio comunale non ostacoli un'opera strategica per la nostra regione». E poi è onnipresente, gira una decina di siti ambientali e di convegni ogni tre giorni e non dimentica nulla, dall'incontro con Fabio Vincenzi, sindaco di Borghetto Vara che ha dato le dimissioni per «stress da alluvione» all'intestazione in prima linea della battaglia contro l'aumento Iva, quando ancora in consiglio dei ministri alcuni suoi compagni di partito lo difendevano con le unghie e coi denti. Lui, invece: «Occorre fare tutti gli sforzi possibili contro l'aumento, che sarebbe un aggravio ulteriore. Quindi, seppur in un quadro di difficoltà, un tentativo va fatto». E, infatti, fatto! Insomma, non è Brunetta, nè lui vorrebbe esserlo, ma siamo di fronte a un'area del Pd con cui si può parlare. E, soprattutto a un'area del Pd che non prende per buono tutto quello che legge su internet, ad esempio a proposito delle trivellazioni, che un gruppo di senatori a Cinque Stelle gli ha proposto come possibile causa dei terremoti: «Io non ho alcuna simpatia per le trivellazioni, ma prima di affermare un nesso fra esse e i fenomieni sismici occorre verificarlo, con una pronuncia chiara delle autorità scientifiche». Chapeau.
Il resto, ovviamente, è la politica. Perchè va bene l'ambiente. Ma Orlando rimane uomo di partito e bacchetta i suoi: «Possono evocare tutti i leader carismatici che vogliono, ma se non si costruisce un rapporto con la gente non si vincono le sfide». Segue frase che è una ricetta per la malattia del Pd di oggi: «Pensiamo ai problemi della collettività e a cambiare il Paese e non a cambiare gli organigrammi». E, sull'esecutivo di cui fa parte, prima un giusto elemento di insoddisfazione sul fatto che a sinistra il governo Letta non è particolarmente amato: «Forse l'atteggiamento di sospensione del giudizio verso un governo amico non permette di valorizzarne i risultati e di portare avanti un'iniziativa politica per concretizzarne gli obiettivi».


Insomma, Orlando è un precisino, di quelli che mette i puntini sulle i. Poi aggiunge: «Questo non è il governo che avremmo voluto, ma ci siamo e dobbiamo utilizzare questa opportunità». Andrea, in piena metamorfosi e portatore sano di «lettismo» la sta utilizzando.

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