Giolitti e Nitti, nellultima ora delle libertà in Italia, avrebbero voluto scatenare linferno nelle aule parlamentari, provocando un incidente che potesse rovesciare Mussolini. Questo e altro è contenuto in un plico di documenti inediti della Segreteria particolare del Duce che raccontano, come meglio non si potrebbe, lagonia dellAventino e le ragioni per le quali Mussolini, con lappoggio del re, riuscì a mettere in scacco le opposizioni. Le carte, da noi ritrovate al Public Record Office di Londra, sono incluse nella cosiddetta «Italian Collection», il corpus della documentazione darchivio del dittatore, sottratta e fotoriprodotta dai «liberatori» inglesi.
Si tratta di alcune relazioni «riservatissime» redatte per Mussolini da Paolo Virgillito, un giornalista, ex ufficiale di cavalleria e amico delleconomista Maffeo Pantaleoni, che per anni raccolse notizie confidenziali nel suo ruolo «coperto» di informatore, riferendo con lo pseudonimo di «Bonaccorsi» dalla sala stampa di Piazza San Silvestro. Virgillito, che dal 1939 al 1942 operò come fiduciario diretto della Polizia politica di Arturo Bocchini, con il numero 718, nella fase cruciale dello scontro tra governo e opposizioni, tra il febbraio e il giugno 1925, scrisse e consegnò al segretario particolare del capo del governo, Alessandro Chiavolini, una serie di rapporti «esplosivi» che ebbero un notevole impatto sulle strategie difensive adottate dal dittatore in erba.
Il famoso discorso del 3 gennaio 1925, dal quale si fa discendere per convenzione storica linizio della dittatura, in realtà rappresentò soprattutto un indicatore di percorso. Furono, piuttosto, i continui «autogol» delle opposizioni, specie quelle riunite nella secessione morale dellAventino, e, soprattutto, linerzia di Vittorio Emanuele III a convincere il Duce della necessità di procedere alla creazione della dittatura. Incalzato da Roberto Farinacci, nominato segretario del Partito fascista il 12 febbraio 1925, Mussolini si fece praticamente «dettare la linea». Ma veniamo ai documenti. Il primo di essi, datato «martedì 24 febbraio 1925», esordisce con la descrizione dellinquietudine di un irrefrenabile Giolitti, risolutamente ostile alla soluzione aventiniana, di cui constatava ogni giorno di più i venefici effetti.
Scrive linformatore Virgillito: «Informo che labbandono della tattica intransigente, da parte delle opposizioni aventiniane, è fermamente voluto dallonorevole Giolitti». Lex presidente del Consiglio, che il 6 aprile 1924 era stato rieletto deputato in una lista democratico-liberale, cioè al di fuori del cosiddetto «listone» governativo, nel novembre successivo era passato allopposizione, subito imitato da altri due ex capi del governo, Orlando e Salandra.
Giolitti, nel febbraio 1925, aveva già capito che la partita, per i difensori delle libertà statutarie, era ormai praticamente persa, a meno che le minoranze non fossero scese dallAventino per animare in aula qualcosa di simile a una battaglia ostruzionistica.
Il piano di Giolitti, che illumina aspetti prima sconosciuti della sua attività di avversario costituzionale del fascismo, era stato da questi illustrato, in colloqui segreti, ai capi aventiniani, Turati, Treves e Amendola. Il progetto, rivela linformatore di Mussolini, consiste in buona sostanza in unoffensiva parlamentare tale da provocare i fascisti, dimostrando in tal modo limpossibilità di un ordinato funzionamento dellassemblea. Conseguenza inevitabile: la caduta del governo. In tale situazione, il re sarebbe stato obbligato a intervenire, indicendo nuove elezioni.
Virgillito così descrive il diabolico piano di Giolitti: «Le opposizioni tutte, discendendo nellaula, debbono agitare con violenza, dalla tribuna parlamentare, tutti i noti argomenti concertati, contro il governo fascista. Scopi: a) poterne parlare sui giornali della catena, per tornare ad agitare e rimontare lopinione pubblica. b) esasperare la maggioranza fascista, per costringerla ad escandescenze e violenze, dietro le quali aver il pretesto calzante di abbandonare laula tutti in massa, compresi i santoni e soci, dando così uno spettacolo decisivo e risolutivo al Paese, per la demolizione definitiva e irrimediabile (secondo luomo di Dronero!) del governo nazionale».
Tale strategia avrebbe dovuto condurre Mussolini al «bivio delle elezioni» e (secondo unespressione testuale dello stesso Giolitti) «scatenare linferno» nel Paese. Stando alle parole del confidente di Palazzo Chigi, lex presidente del Consiglio insistette nel rappresentare ai suoi colleghi aventiniani la necessità di provocare i fascisti in aula, fino a determinare «possibilmente un fattaccio nuovo, parlamentare, in seguito al quale (per frase dominante, ora, fra le opposizioni) un solo schiaffo dato da un fascista a un oppositore» avrebbe potuto causare la caduta del governo.
Paolo Virgillito appare assai bene informato, non sappiamo da chi. Ma le «talpe», nella maggioranza e nello stesso governo, non si contano. Tutti, pur nella segretezza, parlano con tutti. Il giornalista-informatore, del resto, più volte afferma che molti sono i traditori che si annidano nelle file fasciste, pronti a passare dallaltra parte. Ma appare intuitivo che Virgillito riceve le sue notizie-bomba da elementi aventiniani.
Unaltra considerazione riguarda lattivismo di Giolitti che, interpretando le sue responsabilità di «uomo di riserva» della corona, quale ex presidente, alletà di 83 anni trama nellombra per abbattere Mussolini. Il vecchio volpone elabora un piano per rovesciare il governo in carica, ma agisce nella massima riservatezza. Regista occulto di unoperazione a rischio, si affida ai capi dellAventino (Modigliani, Treves, Amendola, Chiesa), ma cerca anche il sostegno di elementi di provata lealtà monarchica, come Luigi Albertini.
Dagli altri rapporti del superinformatore del Duce si evince che lascendente che Giolitti riesce a esercitare sulle minoranze è notevole. In quelle settimane decisive per le sorti dellItalia, la «grande manovra» dello statista di Dronero è talmente avvolgente da coinvolgere un altro ex presidente, Francesco Saverio Nitti, che si trova in Svizzera. Nitti incoraggia la strategia giolittiana e la accredita, da sinistra, negli ambienti della finanza internazionale, della massoneria, del socialismo europeo.
La domanda da porsi, a questo punto, è la seguente. Se il progetto di far cadere Mussolini fu così ben orchestrato, perché non ebbe successo?
Una possibile risposta può essere riconducibile al fatto che gli aventiniani non furono mai convinti dellopportunità di abbandonare la loro trincea di sterile protesta morale, ritornando nelle aule parlamentari. Inoltre, colui che forse può essere ritenuto il principale leader della secessione parlamentare, Giovanni Amendola, nel suo lealismo monarchico, coltivò fino allultimo la convinzione che il re, con un suo intervento, potesse ristabilire la legalità violata.
Invece, il sovrano non mosse un dito, pur trovandosi più volte nella tentazione di agire. Come ha scritto Renzo De Felice, egli temeva da un lato la reazione fascista a un suo atto ostile contro Mussolini, e dallaltro dubitava della lealtà monarchica di molta parte degli aventiniani. In buona sostanza, Vittorio Emanuele riteneva che da un suo atto risoluto sarebbero potuti derivare più svantaggi che vantaggi. Con leffetto di destabilizzare il già precario equilibrio sociale e politico, determinando uno sbocco nel caos. In breve: il Re non voleva aprire le porte alla repubblica. Sua Maestà non intendeva neppure profittare di una circostanza che militava a favore di un avvicendamento alla guida del governo: la malattia di Mussolini, che per alcune settimane, tra il febbraio e laprile del 25, tenne il Duce lontano dagli impegni quotidiani. Non al punto, tuttavia, da sottovalutare limportanza dei maneggi compiuti da Giolitti. Il capo del fascismo prese molto sul serio i contenuti delle informative di Virgillito, tanto è vero che diede mano libera a Farinacci, il quale, sul suo giornale, Cremona Nuova, tra febbraio e aprile reiterò la richiesta della decadenza del mandato parlamentare per gli aventiniani invocando perfino larresto dei capi dellopposizione.
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