LA GIORNATA PERFETTA DEL RAGIONIER EGIDI

«Discese le scale, scoprì il tavolo già pronto. Vi s’accomodò accanto alla donna, vestita di giallo. Mangiò le tagliatelle, le quaglie, le crostate...»

Il ragionier Egidi aveva la calvizie desolante di uno scalpato, mal rimediata da un riporto di capelli grigi a cui s’applicava inutilmente ogni mattina. E, mentre guidava l’automobile in quell’alba, proprio la striscia di capelli gli ricadde a scoprire la nudità del cranio. Ne incolpò uno spiffero, e levando la mano dal volante, girò la manovella del finestrino per chiuderlo. L’auto sbandò. Il suo orrendo riporto divenne come il ciak di un film, dopo del quale tutto iniziò a girare. In quel pericolo di morte rivide tutto: sé neonato, sua madre ridente, il padre che lo alzava al cielo, le figurine del detersivo, i baci bugiardi della tale che non l’aveva voluto, lo sportello bancario, i risotti, il cielo, chiunque e tutto, ma composto in spazio circolare senza tempo.
Poi d’un tratto si ritrovò nell’auto, e in grande calma. S’era, il giorno prima, lasciato convincere dal Bandi di andarlo a trovare. Aveva ceduto all’invito di questo sessantenne, suo ex compagno di banco, quasi per farsi un dispetto. Egidi era nato melanconico e permaloso. Da giovane s’era per un po’ illuso di appassionarsi alla vita, ma poi ci aveva rinunciato, senza rammarico. Abituandosi ad un contegnoso disdegno per sé, e parlando sempre meno, persino allo sportello della sua banca, dove, prossimo alla pensione, lo tolleravano. Ma per quanto ci si dia per persi, resiste sempre qualche vanità a cui s’appiglia una speranza recondita di gioia. Perciò Baldi, ch’era in tutto l'opposto di Egidi, incontratolo per caso, l’aveva stordito, irretito...
Ma ritornò a scrutare la strada. S’accorse d’essere dove doveva essere. Sollevò lo sguardo, vide il bel declinare della collina di zolle, e in alto dei cani festanti e un omone che davanti a casa già lo salutava. Era il Baldi, i cui passi parevano al contempo puntelli di sostegno per la pancia. Era ricciuto, ciarliero ed emanante simpatia. «Amico mio, ti ricordi... che bella sciarpa». E sollevandolo l’abbracciò. Egidi, ch’era tutto ossa, prima temette, disabituato dall’infanzia a tanta intimità.
Ma poi si sentì commosso, o meglio istupidito come l’ubriaco di un romanzo russo. Bofonchiò: «Grazie di avermi invitato, ma dopo pranzo devo andare. Fa notte presto. La nebbia. Un incidente, già mi sono ribaltato». E si sorprese: a ripensarci, non v’era sulla sua auto alcun danno. Ma non fece in tempo a considerare il caso. Strano, del resto, come Baldi, che a scuola non gli voleva così bene e gli lordava i quaderni disegnandovi sconcezze. Si ricordò che non riusciva mai a cancellarle, e perciò doveva subire lui l’esecrazione delle insegnanti che, tra le pagine scrutando, se le trovavano davanti.
Ma la gran felicità di Baldi contagiò i cani, al cui dimenarsi pure Egidi dedicò delle carezze. Sorprendendosi di sé, giacché per solito si lavava le mani venti volte al giorno. E invece eccolo a farsi leccare da due setter scimuniti e dire loro: «Bello, bravo,... amore». Nel gran festare dei cani, mentre la nebbia calava, sentì gli odori della casa di Baldi. Misto al tabacco, c’era quello del coniglio che coceva da ore, gli piacque pure l’odore di muffa dalle pareti. E si preoccupò d’essere felice, non v’era abituato. Un poco si introvertì a pensarci. Quindi in un ritorno di diffidenza spiegò: «Devo anche giocare alla schedina, forse devo partire prima». Avrebbe mentito che qualcuno l’aspettava, ma era così inverosimile che gli venne invece una smorfia. Né Baldi, e neppure un vecchio contadino sdentato intento a disossare un prosciutto in posa da violinista, badarono al suo introvertirsi. Gli misero in mano un bicchiere di vino, parlando tra loro, senza badargli. Come lui desiderava.
Uscì, e vide che la nebbia evolveva in strana luminescenza. Si accorse di star bene, anche senza cappotto non aveva freddo. Il verde dei prati gli parve oro fino, di cui sentì come un’allucinazione sonora. Eppure là dentro, dal Baldi, non aveva fumato nulla di strano. Guardò uno stormo di uccelli in volo e gli parve di reggerli, dirigerli con un filo argenteo tra i suoi due occhi. Ma guardando per aria cadde, o meglio scivolò nel fango delle zolle appena arate. E mentre si contemplava a terra tutto lordo scoprì dietro di lui una donna procace, che iniziò a sgridarlo. Non se n’intimidì. E costei come lo conoscesse da sempre: «Ma vieni». Lo prese per mano e lo ricondusse, senza salutare gli altri, dentro casa sopra le scale, in una stanza dove c’era una tinozza d'acqua calda. Prese con furia voluttuosa a spogliarlo. Egidi tentò una protesta, e di fuggire dalla finestra, quindi cedette. Si lasciò lavare trovando solo la forza di chiedere «Ma chi è?». «Sono la figlia di non so chi», fu la risposta, mentre già lo sollevava dall’acqua, presolo per la pelle del membro. Altra stranezza: gli parve naturale di essere quindi tutto borotalcato e baciato sulla calvizie. Discese le scale in un beato sconcerto, scoprì il tavolo già pronto. Vi s’accomodò accanto alla donna, vestita di giallo e popputa, che iniziò a lodarlo. Arrossì. Si chiese se non fosse straniera come l’altra che sedeva col Baldi. Verosimilmente ucraina, in viaggio di studio e preghiera: amore mercenario. Il Baldi gli fece l’occhiolino. Lui: «Devo proprio andare. È già tardi». E invece restò. Mangiò le tagliatelle ruvide, a regola d’arte, come le quaglie, le palombe, le crostate, l'uva, i fichi mandorlati, e i vini bevuti in brindisi inesausti. Sentì che gli erano quasi ricresciuti i capelli. S’appisolò sul petto della sua lavandaia, in un sopore senza tempo.
Infine uscì assieme al Baldi, e ai due donnoni; già imbruniva. Non chiese dove si dirigeva la macchina, ma non si sorprese di ritrovarsi in una bisca. Giocò dicendo «rosso», e usciva rosso; altrettanto per il nero. Mai aveva prima vinto al lotto qualcosa più di un ambo. Lì vinse tutto. E la Marilda, questo era il nome dato alla sua corposa dama, che più lui vinceva e più l’abbracciava, dicendogli amorosamente ogni volta: «Bene e bravo». Uscendo insistette per andare in macchina da solo, e lo lasciarono fare. Guidò senza sentire bisogno di dormire e si compiacque del rosa dell’alba. Quindi si fermò, calmo aprì il cruscotto della sua automobile, dov’era il ritratto di Baldi, impresso sul ricordino da defunto. Come del resto era morto pure lui: dentro la macchina che si era ribaltata il giorno prima.

Vide i pompieri estrarre il suo cadavere. Si girò e si sentì più vasto delle colline, esteso fino alle nuvole, e beato sorrise della sua giornata ideale. La vita appartiene del resto al genere fantastico e non a quello realista.

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